L’Italia, ce lo ricorda la Costituzione, è una Repubblica fondata sul lavoro e, di conseguenza, su chi lavora. Ma lo stato di salute dei lavoratori in Italia, in questo momento storico, non è certo dei migliori.
Due diversi report, lo State of the Global Workplace 2025 di Gallup e uno studio presentato dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, restituiscono la stessa fotografia: i lavoratori in Italia sono poco ingaggiati in ciò che fanno, insoddisfatti. E il loro livello di benessere lavorativo è ai minimi termini.
In questo articolo riassumiamo i principali insight emersi dai due report e alcune possibili strategie per contrastare i bassi livelli di engagement e aumentare il benessere lavorativo delle persone.
Gallup: in Italia solo il 10% delle persone è engaged
Lo State of the Global Workplace è uno dei più autorevoli report che misura l’engagement delle persone in aziende e organizzazioni.
L’employee engagement, in italiano traducibile come ingaggio, è un elemento chiave per aziende e organizzazioni in salute. Si tratta di una miscela tra coinvolgimento, passione ed entusiasmo dei collaboratori nel loro lavoro e nell’ambiente lavorativo.
Una persona è engaged sul lavoro quando i suoi bisogni fondamentali sono soddisfatti, quando ha la possibilità di contribuire, quando prova un senso di appartenenza e ha l’opportunità di apprendere e crescere.
Al contrario, non è ingaggiata quando è psicologicamente distaccata dal suo lavoro e dall’azienda. Una persona not engaged o disengaged, secondo Gallup, dedica tempo al proprio lavoro, ma non passione. Rientra in questa categoria il fenomeno del quiet quitting, cioè quell’atteggiamento per cui le persone limitano il proprio impegno lavorativo allo stretto indispensabile, non andando oltre quanto specificato nel loro contratto o nella descrizione del loro ruolo.
Una terza categoria individuata dal report di Gallup sono gli actively disengaged, cioè quelle persone che non solo sono infelici sul lavoro, ma manifestano apertamente il loro risentimento con la propria azienda perché i loro bisogni non vengono soddisfatti.
Nel quadro di un decremento dell’engagement a livello globale (sceso dal 23 al 21% rispetto al precedente report), l’ultimo report di Gallup afferma che in Italia solo una persona su 10 è coinvolta sul lavoro, il 73% non è ingaggiato e il 17% manifesta apertamente il proprio disengagement.
Anche se il trend è in controtendenza – in Italia secondo il precedente report di Gallup la quota di persone engaged era dell’8% –, il dato resta drammaticamente al di sotto della media globale.
Non solo: il report di Gallup indaga anche quali sono le emozioni negative che le persone provano durante la loro giornata lavorativa. L’Italia è al quinto posto tra i Paesi europei per quanto riguarda lo stress: il 49% dei lavoratori rivela di provare quotidianamente questa sensazione, con un incremento di 3 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione.
Il nostro Paese occupa la stessa posizione per quanto riguarda la quota di lavoratori tristi: sono il 21%, in calo però rispetto all’anno precedente. Va un po’ meglio per quanto riguarda la solitudine e la rabbia. A sentirsi sole quotidianamente sul lavoro sono il 13% delle persone, mentre coloro che provano quotidianamente rabbia sono il 9% (anche questo dato è in lieve calo rispetto al precedente report).
L’Osservatorio HR del Politecnico di Milano: il benessere lavorativo è ai minimi termini
I dati emersi dal report di Gallup trovano sostanziale conferma anche in un recente studio dell’Osservatorio HR Innovation practice del Politecnico di Milano, i cui principali insight sono riportati dal Corriere della sera.
La ricerca, presentata durante il convegno “Tracciare il percorso del cambiamento: AI, nuove strategie e competenze per il futuro del lavoro”, sottolinea come tra i lavoratori italiani regnino malessere e rassegnazione.
Solo il 17% dei professionisti è pienamente coinvolto in ciò che fa. I quiet quitters, in aumento, sono il 14% della forza lavoro nazionale. Infine, appena il 10% delle persone dichiara di stare bene nelle tre dimensioni fondamentali del lavoro: fisica, relazionale e mentale.
Per Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Hr Innovation practice del Polimi, “tra i lavoratori italiani si rileva una crescente frustrazione, attribuibile alla percezione di instabilità del mercato del lavoro, accentuata da conflitti e crisi globali e da retribuzioni spesso inadeguate al costo della vita”.
Cosa fare: alcune strategie per migliorare l’engagement
Dinanzi a questo quadro non entusiasmante, cosa fare? Gli stessi report citati sopra individuano alcune strade da percorrere per cercare di migliorare il benessere lavorativo e l’engagement.
La ricerca dell’Osservatorio Hr Innovation practice, ad esempio, suggerisce alle aziende di evolvere verso quelle che si definiscono skill-based organization, cioè organizzazioni che strutturano il lavoro, assegnano i ruoli e prendono decisioni strategiche basandosi principalmente sulle competenze individuali dei dipendenti piuttosto che su titoli di lavoro fissi o gerarchie tradizionali.
In questa tipologia di aziende, spiega il report, migliorano in maniera significativa benessere ed engagement: la percentuale di lavoratori coinvolti e motivati passa dal 17% al 42%, mentre il livello di benessere sale dal 10% al 18%.
Come accelerare l’evoluzione verso una skill-based organization? Tra le diverse possibili strategie, segnaliamo quanto emerso da una ricerca condotta dall’Independent design company Logotel, secondo cui per accelerare la trasformazione in skill-based organization è necessario che le aziende rimappino le skill lavorando principalmente in due direzioni:
- sfruttando in modo nuovo i dati per potenziare, aggiornare e ricalibrare “portafogli di accelerazione delle competenze” alimentati dai percorsi formativi;
- favorendo dinamiche di trasferimento delle competenze che non siano solo top-down, ma anche orizzontali, attraverso ad esempio la creazione e l’animazione di tribe di mestieri sulle piattaforme collaborative, che possono veicolare formati innovativi di aggregazione e collaborazione.
Intervenire sul ruolo e la formazione dei manager
Tra le varie “ricette” per contrastare il calo di engagement, che secondo Gallup nel solo 2024 è costato 438 miliardi di dollari in termini di produttività persa a livello globale, la società di statistiche statunitense suggerisce di focalizzarsi sul ruolo dei manager.
A trainare verso il basso la percentuale di engagement, infatti, è stato il calo dell’engagement dei manager. Mentre il livello di ingaggio dei collaboratori individuali è rimasto stabile al 18%, tra i manager i livelli di coinvolgimento sono scesi dal 30% al 27%, con un declino più marcato tra i manager di età inferiore ai 35 anni (meno 5%) e tra le donne manager, per cui il calo è stato del 7% rispetto al report precedente.
Quando i manager sono disengaged, lo sono anche i loro team. La ricerca Gallup evidenzia infatti che il 70% dell’engagement di un team è attribuibile al manager. Questa relazione è così forte che emerge anche nei dati a livello nazionale: i paesi con manager meno coinvolti tendono ad avere collaboratori individuali meno coinvolti.
Cosa fare dunque? Gallup propone tre azioni concrete per affrontare questa crisi di engagement:
- Garantire formazione manageriale, in quanto coloro che ricevono formazione hanno la metà delle probabilità di essere attivamente disengaged rispetto ai non formati.
- Insegnare tecniche di coaching, in quanto come rivelato da Gallup questo incide sui livelli di engagement sia dei manager sia dei loro team, e anche sulle metriche di performance
- Aumentare il benessere dei manager attraverso piani di sviluppo continuo.
Servono percorsi di empowerment per rendere i manager sempre più contemporanei
Investire sul ruolo e sulla formazione dei manager è ritenuta una priorità per migliorare l’engagement di persone e team anche per la design company Logotel, che da decenni tra le sue expertise annovera anche la progettazione e realizzazione di percorsi per formare e allenare i manager di diverse generazioni ed esperienze sulle principali skill manageriali e nel potenziare in modo dinamico il proprio stile di leadership.
Le sfide che si trovano ad affrontare i manager oggi sono molteplici: cambiano i tessuti organizzativi e le relazioni tra le persone, i team sono sempre più multigenerazionali, occorre sempre più spesso fare di più con meno, trasformando lo scarso in abbondante.
Per questo motivo, in organizzazioni sempre più ibride e reticolari, occorre aiutare i manager ad essere contemporanei, progettando per loro percorsi di empowerment che li aiutino a mettere a fuoco la propria identità di People manager, fare sistema in azienda e contaminarsi anche con altre realtà per rispondere a sfide comuni come la talent attraction e retention, sperimentare con coraggio.
L’AI come possibile chiave per migliorare il benessere sul lavoro
Anche l’intelligenza artificiale, una dei protagonisti delle rapide trasformazioni del mondo del lavoro e del modo di lavorare, può diventare un elemento chiave per migliorare il benessere delle persone.
Lo dice l’Osservatorio HR Innovation practice del Politecnico di Milano, secondo cui chi usa strumenti AI al lavoro riesce a liberare tra i 30 e i 50 minuti di tempo al giorno, da poter impiegare per svolgere le stesse mansioni ma con maggiore efficienza, dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto e anche per impegni personali e familiari.
La chiave, come spiega ancora una volta Logotel in un’altra ricerca condivisa in occasione di una community di HR, è intercettare l’enorme potenzialità trasformativa dell’AI e tradurla in valore per le persone, interpretando l’AI come occasione per ripensare la leadership, la cultura e l’employee experience all’interno di aziende e organizzazioni.
Conclusioni
L’Italia si trova oggi a fare i conti con una crisi profonda del benessere lavorativo che mina le fondamenta stesse del patto costituzionale. I dati di Gallup e del Politecnico di Milano non lasciano spazio a interpretazioni: con solo un lavoratore su dieci pienamente ingaggiato ed elevati livelli di stress che toccano quasi la metà della forza lavoro, il sistema produttivo nazionale deve seriamente affrontare le sfide della demotivazione e del quiet quitting.
La strada per invertire questa tendenza passa attraverso un ripensamento radicale del modo di fare impresa: dalle skill-based organization che valorizzano le competenze individuali, alla formazione continua dei manager come catalizzatori del cambiamento, fino all’integrazione intelligente dell’AI per liberare tempo e potenziale umano.
Non si tratta solo di aumentare la produttività, ma di ridare un senso al lavoro, trasformandolo da fonte di stress in opportunità di realizzazione personale e collettiva.