AI e creatività: come sbloccare un mindset creativo

L’intelligenza artificiale generativa ridefinisce il processo creativo: non sostituisce il genio umano ma lo amplifica, sbloccando un mindset creativo.

L’intelligenza artificiale generativa è una minaccia per la creatività umana o è un’opportunità? L’attuale dibattito sul rapporto tra AI e creatività riflette la polarizzazione esistente nei confronti dell’intelligenza artificiale, e nello specifico l’AI generativa, anche in altri ambiti, come ad esempio il lavoro.

Tra visioni apocalittiche e ultra ottimistiche esiste una via di mezzo: se utilizzata con spirito critico, tenendo conto di potenzialità e limiti, l’AI può agire come amplificatrice della creatività umana e sbloccare un cambio di paradigma, un mindset creativo. Così la pensa anche Rory Flynn, uno dei maggiori esperti di applicazioni di AI generative come Midjourney e Runway.

In questo articolo riportiamo alcune delle ricerche più recenti sul rapporto tra AI e creatività, analizzando anche quanto condiviso da Flynn in occasione della AI WEEK 2025.  

Le radici del dibattito su AI e creatività

Cos’è la creatività? In ambito scientifico, sebbene il concetto sia al centro di dibattiti, una definizione ampiamente condivisa è quella della professoressa di scienze cognitive Margaret Boden, secondo cui la creatività “è la capacità di elaborare idee o manufatti che sono nuovi, sorprendenti e di valore”.

Dopo essere stata considerata per millenni una prerogativa dell’uomo, fin dalla comparsa dei primi prototipi di computer studiosi e pensatori hanno iniziato a chiedersi se la creatività potesse essere anche appannaggio delle macchine.

La matematica Ada Lovelace – che negava che le macchine potessero essere creative – e il pioniere dell’informatica Alan Turing – che cent’anni dopo ha contestato l’obiezione di Lovelace –, sono solo due degli scienziati che hanno provato a fornire una risposta a una domanda che resta tuttora irrisolta e che si ripropone man mano che la tecnologia progredisce.

Un punto di svolta in questo dibattito si è avuto quando l’intelligenza artificiale generativa è diventata mainstream, e cioè con il rilascio della prima versione di ChatGPT nel novembre del 2022. È su questa tecnologia – che permette di creare output nuovi e in molti casi sorprendenti partendo da un prompt –, che si sono concentrati alcuni dei più recenti studi sul rapporto tra creatività e AI.

Una relazione complessa, in continua evoluzione, che ha portato alcuni ricercatori a chiedersi, come ad esempio avviene sulla rivista scientifica specializzata Creativity research journal, se sia il caso di ridefinire il concetto di creatività nell’era dell’AI.

AI chiave per democratizzare la creatività e l’innovazione

Fatta la dovuta premessa su quanto il “campo di gioco” sia sconfinato e in rapida espansione, iniziamo la nostra breve panoramica su alcuni degli studi più interessanti.

Il primo, condotto da ricercatrici e ricercatori della Harvard Business School, sottolinea come l’AI possa aiutare nel problem-solving creativo. Il team di ricerca, guidato dalla professoressa Jacqueline NG Lane, ha avviato una sfida di crowdsourcing con focus sull’economia circolare, chiedendo a due gruppi diversi di generare alcune idee. Un gruppo si è avvalso esclusivamente della creatività umana, l’altro ha invece utilizzato strumenti di AI generativa.

I risultati indicano che mentre le soluzioni esclusivamente umane hanno mostrato una maggiore novità, quelle umano-AI hanno dimostrato una maggiore fattibilità e una migliore qualità complessiva.

Adottando un approccio “AI-in-the-loop” nella risoluzione creativa di problemi centrata sull’uomo, lo studio dimostra un approccio scalabile ed economicamente efficace per potenziare e democratizzare la creatività e le prime fasi dell’innovazione.

Il rischio di omologazione collettiva

Un altro studio, pubblicato su Science Advances nel 2024, ha analizzato come l’AI generativa possa impattare sulla capacità di scrivere storie.

I partecipanti, 293 persone, hanno preso parte a un esperimento di scrittura creativa usando il Large language model (LLM) GPT-4. Il risultato? L’AI ha migliorato la produzione degli scrittori meno creativi, anche se ha avuto un impatto più limitato su quelli che mostravano maggiori spunti creativi.

Gli autori dello studio hanno però anche osservato un paradosso: pur democratizzando in qualche modo la creatività – estendendola anche a chi non ne è molto dotato umanamente –, l’utilizzo dell’AI generativa sembra omogeneizzare e appiattire la produzione collettiva, dando origine a storie più simili tra loro rispetto a quelle scritte interamente da esseri umani.  

Questa omogeneizzazione dell’output ha un nome, derivato dalla psicologia sociale. Si chiama groupthinking algoritmico e si verifica quando l’uso diffuso di sistemi AI simili porta a una convergenza di idee, soluzioni e contenuti, riducendo la diversità del pensiero creativo e innovativo a livello collettivo.

Nel 2020 uno studio dell’Università di Cambridge ha anche quantificato questo fenomeno, stimando nel 41% la riduzione della diversità di pensiero all’interno di un gruppo a causa del groupthink algoritmico.

Il pensiero divergente

Il contrario dell’omologazione è il pensiero “out-of-the-box” e sulla rivista Nature, nel 2023, è apparso uno studio che sostiene che l’intelligenza artificiale possa effettivamente competere con la creatività umana, almeno per quanto riguarda il pensiero divergente e fuori dagli schemi.  

Lo studio ha posto a confronto 256 esseri umani con tre chatbot AI, utilizzando l’Alternate uses task (AUT), uno dei test più usati per misurare la creatività e il pensiero divergente. In questo test, alle persone (o ai chatbot) viene mostrato un oggetto di uso comune e viene chiesto in un tempo limitato di elencare tutti gli usi alternativi possibili.

La ricerca ha dimostrato che “in media, i chatbot AI hanno superato i partecipanti umani” in compiti creativi standardizzati, ma ha anche evidenziato che “le migliori idee umane continuano a eguagliare o superare quelle dei chatbot”, suggerendo che il livello più alto di creatività rimane dominio umano.

Il limite della fattibilità

Uno degli studi più recenti sul rapporto tra creatività e AI arriva dall’Università di Stanford, la stessa che ogni anno redige uno dei più importanti report sull’intelligenza artificiale, l’AI Index report.

Lo studio, intitolato Can LLMs Generate Novel Research Ideas? A Large-Scale Human Study with 100+ NLP Researchers, mira a valutare se i Large language models possano produrre idee di ricerca genuinamente innovative, come suggerisce il titolo.

Allo studio hanno partecipato due gruppi: il primo composto da oltre 100 ricercatori nel campo dell’elaborazione del linguaggio naturale (NLP), il secondo composto da LLM. Entrambi avevano il compito di scrivere articoli di ricerca originali, che sono poi stati sottoposti a una blind-review (cioè chi li ha esaminati non sapeva da chi fossero stati prodotti).

Il processo di revisione si è concentrato su diverse metriche, tra cui novità, fattibilità, entusiasmo e qualità complessiva delle idee. Il risultato è che le idee generate dai Large language model sono state valutate come più innovative rispetto a quelle generate da esperti umani. Tuttavia, i ricercatori umani coinvolti hanno proposto in media idee più fattibili e radicate nella realtà.

L’AI è un’artista?

La creatività è spesso associata alla dimensione artistica. E parlare di creatività associandola all’intelligenza artificiale porta dunque a porsi una domanda: l’AI può essere considerata un’artista?

Per il filosofo di Harvard Sean Dorrance Kelly la risposta è no. In un articolo apparso sulla MIT Technology Review, Kelly sostiene che la creatività sia una delle caratteristiche distintive dell’uomo e ha modo di esistere solo all’interno di un contesto umano. Lo stesso filosofo tuttavia aggiunge che l’AI può essere un valido strumento per amplificare e aiutare il genio creativo, così come una chitarra elettrica può servire a un musicista per creare assoli che possano rimanere nella storia della musica.

Verso una creatività aumentata o co-creatività

Dalla breve panoramica sugli studi elencati sopra si evince come, più che concentrarsi sulla mera competizione tra creatività umana e artificiale – che rischia di portare a risultati contradditori, non univoci e non definitivi –, sia molto più interessante capire come l’AI possa completare e aumentare la creatività umana. La combinazione tra le due porta infatti, nella maggior parte dei casi menzionati, a risultati migliori e ad output più bilanciati tra originalità delle idee e fattibilità delle stesse.

C’è chi parla di “creatività aumentata” e chi, come i già citati ricercatori del Creativity Research Journal, sottolineano l’importanza del concetto di co-creatività, emerso per descrivere la creatività mista umano-AI. È proprio questo concetto quello che potrebbe spiegare meglio i processi creativi contemporanei nell’era dell’AI ed è in questa direzione che dovrebbero concentrarsi i futuri studi sul rapporto tra intelligenza artificiale e creatività.

Conclusioni: l’AI per sbloccare creatività infinita

L’AI, insomma, non sostituisce, ma aggiunge. Anche nell’ambito della creatività, così come in quello della produttività, la vera sfida non è l’AI in sé, ma le nuove dinamiche di interazione, relazione e collaborazione che si sviluppano tra persone, team, organizzazioni e intelligenza artificiale, come ha affermato la co-founder e Chief design officer di Logotel, Cristina Favini, dal palco della AI WEEK 2025.

La manifestazione milanese dedicata all’intelligenza artificiale, co-organizzata da Giacinto Fiore (qui una sua intervista) e Pasquale Viscanti, ha fatto da cornice anche ad alcuni interventi di Rory Flynn, uno dei massimi esperti di AI generativa applicata al marketing.

Flynn ha condiviso una visione originale e pragmatica che può fare da conclusione a questo articolo. Per lui, strumenti come Midjourney e altri tool di GenAI possono sbloccare una creatività potenzialmente illimitata, a patto di conoscerne almeno il funzionamento di base, mantenere uno spazio di genialità e avere una visione chiara su come utilizzarli.

I tool generativi sono simbiotici, lavorano insieme come un team svolgendo task differenti, ma per un risultato comune. La vera arte, in questo caso, risiede nelle istruzioni che si forniscono alla macchina: da prompt chiari e diretti derivano risultati chiari e diretti, mentre da prompt ambigui derivano output ambigui.

Quando si impara a strutturare un prompt – ad esempio per ottenere come output una fotografia controllandone tutti i parametri –, si può creare un flusso creativo potenzialmente infinito. Dalle immagini o da altri asset, tramite reverse engineering, si possono infatti ricavare prompt che, modificati nelle loro singole componenti, possono dare vita a un processo di creazione iterativo.

Di fronte a queste potenzialità creative, avverte Flynn, c’è però un rischio: quello dell’omologazione. Il rischio di generare foto, testi, copy, o in generale output troppo generici. Per questo ci sarà sempre bisogno dell’essere umano: per le idee, per rompere gli schemi, per aggiungere emozioni a ciò che si produce. Sono caratteristiche che restano prerogativa dell’essere umano. Non c’è AI che tenga. Almeno per il momento.