Il boom della shadow AI economy
Sono in aumento le persone che usano tool di AI sul lavoro senza autorizzazione aziendale. Rischi, benefici e strategie di governance per trasformare la shadow AI in vantaggio competitivo.

Sono in aumento le persone che usano tool di AI sul lavoro senza autorizzazione aziendale. Rischi, benefici e strategie di governance per trasformare la shadow AI in vantaggio competitivo.
Usate l’intelligenza artificiale in azienda di nascosto? Non siete soli, ma fate parte di un fenomeno globale, la shadow AI economy, che rappresenta una delle tendenze più dirompenti del 2025 nel mondo del lavoro.
Anche se l’intelligenza artificiale generativa è ormai un fenomeno che permea il lavoro quotidiano di milioni di persone, come spesso accade con le innovazioni dirompenti la sua adozione non segue sempre percorsi lineari o regolamentati.
Un numero crescente di lavoratori utilizza strumenti di intelligenza artificiale generativa (Gen AI) senza che le aziende ne siano pienamente consapevoli o abbiano definito policy chiare. È il fenomeno che molti osservatori chiamano shadow AI.
Una tendenza che, come rivela tra gli altri il report State of AI in business 2025 realizzato dal MIT Nanda (Networked agents and decentralized architecture), un’iniziativa di ricerca del Massachusetts Institute of Technology che analizza come le aziende adottano l’AI e quali sono i reali impatti economici e organizzativi di questa trasformazione -, sta alimentando una vera e propria economia parallela di strumenti, pratiche e abitudini che si diffonde sotto traccia nelle organizzazioni, spesso senza regole né governance: la shadow AI economy.
In questo articolo approfondiamo il fenomeno, le sue cause e quali sono le implicazioni per aziende e organizzazioni.
I dati più recenti dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano hanno mostrato che in Italia circa un terzo dei lavoratori ha utilizzato l’AI nelle proprie attività, ma nella grande maggioranza dei casi si è trattato di strumenti personali o gratuiti trovati online. Non parliamo quindi di soluzioni fornite o gestite dall’azienda, ma di piattaforme che i dipendenti scelgono in autonomia, spesso senza informare i propri responsabili.
Questa adozione sommersa non è un fenomeno marginale. Secondo il report State of AI in business 2025, a livello globale la crescita dell’utilizzo di strumenti generativi fuori dai canali ufficiali è stata esplosiva. Lo dimostra un dato: mentre solo il 40% delle aziende dichiara di aver acquistato abbonamenti ufficiali a strumenti LLM (Large language model), i lavoratori del 90% delle aziende intervistate riferiscono un uso regolare di strumenti AI personali per attività lavorative. Praticamente ogni singolo dipendente utilizza un LLM in qualche forma per il proprio lavoro.
I lavoratori non si accontentano delle soluzioni messe a disposizione dalle direzioni IT, che spesso arrivano in ritardo o con troppe restrizioni. Preferiscono affidarsi a tool facilmente accessibili come ChatGPT, Perplexity, Copilot o piattaforme specialistiche per la scrittura, l’analisi dei dati, la traduzione e la creazione di contenuti multimediali.
Se da un lato l’uso spontaneo dell’AI dimostra la volontà dei dipendenti di lavorare in modo più efficiente, dall’altro mette in evidenza un problema di fiducia reciproca. I lavoratori si muovono in autonomia perché percepiscono che le aziende non stanno facendo abbastanza per accompagnarli nell’adozione della tecnologia.
La conseguenza è un cortocircuito: da un lato si ottengono risparmi di tempo notevoli – in media circa trenta minuti al giorno, secondo le ricerche – dall’altro si espone l’organizzazione a rischi legali, etici e di sicurezza, perché i dati aziendali finiscono per essere caricati su piattaforme esterne senza alcuna protezione.
Il boom della shadow AI economy nasce dunque da un vuoto: quello tra il desiderio di sperimentazione dei lavoratori e la lentezza con cui le aziende adottano e regolano le nuove tecnologie. È lo stesso divario che si era visto negli anni della consumerizzazione dell’IT, quando gli smartphone e le app personali hanno invaso gli uffici prima che le direzioni IT potessero fornire soluzioni aziendali equivalenti.
Non si tratta di un fenomeno circoscritto a qualche settore innovativo. In Italia, la diffusione della shadow AI riguarda trasversalmente professionisti, impiegati e manager, con una particolare concentrazione tra i white collar e i più giovani. La Generazione Z, cresciuta con strumenti digitali sempre a portata di mano, è la più incline a sperimentare con soluzioni AI personali, anche per attività lavorative complesse.
Ma il fenomeno è globale. Il report MIT/Nanda evidenzia che la tendenza si ripete in mercati diversi, con variazioni legate soprattutto al livello di regolamentazione locale. Negli Stati Uniti, ad esempio, secondo un recente articolo apparso su Newsweek quasi la metà dei dipendenti utilizza sul lavoro tool di AI vietati dalle loro organizzazioni.
Molte aziende stanno già affrontando controversie legate all’uso improprio di dati aziendali su piattaforme AI. In Europa, invece, il dibattito è ancora più acceso, complice l’AI Act e le normative sulla protezione dei dati. In entrambi i casi, la realtà è la stessa: le persone non aspettano che l’azienda decida, ma si muovono in autonomia.
Parlare di shadow AI economy significa riconoscere un paradosso. Da un lato, i rischi sono concreti e immediati: perdita di controllo sui dati, esposizione a vulnerabilità informatiche, potenziali violazioni di copyright.
Dall’altro, ci sono benefici altrettanto evidenti, che spesso le aziende non sanno valorizzare: un aumento della produttività individuale, una crescita della qualità del lavoro percepita dai dipendenti e persino nuove opportunità di apprendimento.
Secondo l’Osservatorio HR del Politecnico, il 91% di chi utilizza strumenti di AI sul lavoro dichiara di aver migliorato le proprie performance, l’86% la qualità del lavoro e l’86% la propria capacità di apprendimento.
E anche altre ricerche, basate sull’autovalutazione e citate dall’esperto di AI Ethan Mollick, hanno evidenziato come l’AI potenzi le prestazioni lavorative in termini di risparmio di tempo e aumento della produttività.
Ignorare o reprimere questo fenomeno significa dunque per le aziende rinunciare a un potenziale enorme. La vera sfida per le imprese è quindi governare il fenomeno senza spegnerlo, trasformando l’adozione sommersa in una leva di cambiamento consapevole.
La diffusione della shadow AI economy non può essere letta solo come un tema tecnologico. Ha anche una dimensione culturale, che si intreccia con il malessere organizzativo emerso negli ultimi anni. La crescita dei quiet quitter, il fenomeno del Great Detachment e la disillusione diffusa dei lavoratori raccontano un quadro in cui le persone cercano maggiore senso, strumenti più efficaci e un coinvolgimento reale.
L’adozione autonoma dell’AI è anche una forma di auto-empowerment: se l’organizzazione non fornisce le risorse necessarie, i dipendenti se le procurano altrove. In questo senso, la shadow AI economy è un sintomo del bisogno di maggiore autonomia e fiducia reciproca.
Non è un caso che nelle organizzazioni più skill-based e inclusive l’uso sommerso sia meno problematico, perché esistono già spazi per la sperimentazione e per la condivisione di pratiche innovative.
Una best practice, in questo senso, sono le community di adozione dell’AI realizzate dalla Independent design company logotel.
L’approccio innovativo, community-driven, accompagna persone e aziende in un cambiamento sostenibile nel tempo, genera coinvolgimento organico e facilita l’adozione dell’AI, grazie a:
Il boom della shadow AI economy costringe le aziende a ripensare le proprie strategie. Bloccare o proibire l’uso spontaneo non è realistico, così come non lo è stato con gli smartphone o con le piattaforme di collaborazione cloud. La via d’uscita è costruire una governance chiara e partecipata.
Le direzioni HR, in particolare, hanno un ruolo centrale: possono guidare processi di formazione innovativi mirati all’AI fluency, integrare policy sull’uso consapevole degli strumenti e monitorare l’impatto sull’engagement. Allo stesso tempo, le funzioni IT devono abilitare soluzioni sicure e accessibili, che possano sostituire progressivamente gli strumenti informali.
Il boom della shadow AI economy non è una deviazione passeggera, ma un segnale strutturale del modo in cui le tecnologie si diffondono oggi. Il dato del 90% dei dipendenti che già utilizza l’AI ci dice che i lavoratori sono più veloci delle organizzazioni e spesso anticipano tendenze che, in un secondo momento, diventano mainstream.
Per le aziende, ignorare il fenomeno significa rischiare di perdere controllo e fiducia. Abbracciarlo con intelligenza, invece, vuol dire trasformare una minaccia in opportunità: riconoscere che i dipendenti non sono solo utenti passivi di strumenti, ma attori attivi dell’innovazione.
La shadow AI economy, con tutte le sue contraddizioni, è la dimostrazione che il futuro del lavoro si costruisce anche dal basso. Sta alle organizzazioni decidere se ostacolare questo movimento o se trasformarlo in un motore di cambiamento.