AI Agentica e management: come gestire la collaborazione tra umani e agenti autonomi

L’era degli agenti autonomi ci sfida a ripensare governance, responsabilità e collaborazione tra colleghi umani e artificiali.

L’AI agentica richiede un nuovo approccio manageriale basato su governance continua, protocolli di escalation chiari e competenze ibride. Ecco come prepararsi.

Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è passata dall’essere uno strumento da interrogare a diventare un vero e proprio attore con cui collaborare. La frontiera più interessante di questa evoluzione si chiama AI agentica: sistemi capaci di prendere decisioni, agire in autonomia e adattarsi a contesti dinamici senza supervisione costante.

Non parliamo più di chatbot che rispondono a domande o di algoritmi che suggeriscono un film da guardare, ma di agenti che operano come “colleghi digitali”, in grado di perseguire obiettivi con logiche proprie e di interagire con ambienti complessi, compreso il web.

Questa trasformazione apre scenari dirompenti per il management. Come si governa una forza lavoro che, accanto a persone in carne e ossa, include agenti capaci di operare a velocità, scala e livello di complessità superumani? E soprattutto: come si distribuisce la responsabilità quando parte delle decisioni non sono più direttamente prese da manager o collaboratori, ma da sistemi autonomi?

Cos’è l’AI agentica?

Con “AI agentica” ci si riferisce a quelle applicazioni che non si limitano a generare contenuti o rispondere a input, ma che possono pianificare azioni, adattarsi a circostanze mutevoli e perseguire obiettivi in modo continuativo.

Un esempio concreto è quello degli agenti di customer service che non si fermano a rispondere a un ticket, ma sono in grado di monitorare l’intero percorso del cliente, anticipare problemi, aprire in autonomia segnalazioni e coinvolgere i reparti competenti.

Un altro ambito emergente è il cosiddetto web agentico, ossia agenti che non si limitano a elaborare dati interni ma navigano il web, leggono contenuti, prendono decisioni e interagiscono con altre piattaforme come se fossero utenti autonomi. Si tratta di una rivoluzione silenziosa ma profonda, che sposta la dinamica dell’AI da strumento ad attore: invece di attendere un input, l’agente agisce proattivamente per raggiungere un risultato.

Dal supporto all’autonomia: il cambio di paradigma

Per anni abbiamo immaginato l’AI come una sorta di assistente: utile, veloce, ma sempre subordinato al controllo umano. L’AI agentica rompe questo schema perché opera con un livello di autonomia simile a quello di un collega umano. Ha memoria, capacità di ragionamento e di pianificazione. Non si limita a eseguire istruzioni, ma sceglie i passi da compiere.

Questo significa che il management non può più considerare l’AI come un software tradizionale, né applicare i soli schemi di controllo tipici dei sistemi deterministici. Serve ripensare le modalità di coordinamento, di supervisione e di accountability. È come introdurre in azienda un team di collaboratori straordinariamente rapidi, scalabili e infaticabili, ma opachi nei processi decisionali e privi di responsabilità legale.

Come si distribuisce la responsabilità con agenti autonomi?

Uno dei problemi centrali diventa, in questo contesto, la responsabilità. Chi risponde di una decisione presa da un agente AI che opera in autonomia? Non potendo attribuire colpe a un algoritmo, la responsabilità rimane in capo a chi lo progetta, lo implementa e lo utilizza. Questo apre dilemmi pratici per i manager: fino a che punto si può delegare a un sistema che decide da solo? Quando serve l’intervento umano nelle decisioni AI?

Sono domande che non hanno risposte univoche, come dimostra l’articolo Agentic AI at Scale: Redefining Management for a Superhuman Workforce pubblicato sulla MIT Sloan Management Review.

Alcuni degli esperti interpellati dagli autori dell’articolo, la maggior parte, sostengono che occorra sviluppare nuovi modelli di management, costruiti appositamente per gli agenti AI. Altri, invece, ritengono che le logiche di accountability esistenti – quelle che usiamo per i collaboratori umani – possano essere adattate, senza bisogno di rivoluzioni concettuali.

Qualunque sia l’approccio, una cosa è chiara: non basta più verificare output e KPI. Occorre seguire l’intero ciclo di vita dell’agente, dal design al funzionamento quotidiano, con audit continui e regole di escalation precise.

Velocità e scala degli agenti AI richiedono monitoraggio automatico e continuo

Gli agenti AI introducono un elemento dirompente: la velocità superumana con cui operano e la scala massiva che possono raggiungere. Un sistema che prende decisioni a un ritmo centinaia di volte superiore a quello di un manager umano non può essere gestito con i metodi tradizionali. Le riunioni periodiche, i controlli a campione, le valutazioni trimestrali non bastano.

Il management deve attrezzarsi con processi di monitoraggio automatico e continuo, con soglie di allerta che segnalino anomalie o comportamenti inattesi. In altre parole, supervisionare un agente AI non significa guardare ogni singola decisione, ma definire confini, protocolli e meccanismi di correzione automatica. È un cambio di mentalità radicale: da controllo ex post a governance ex ante.

La collaborazione tra umani e agenti

Al di là delle sfide tecniche e di governance, c’è un tema culturale altrettanto rilevante. Gli agenti AI diventano parte integrante dei team, e questo richiede di ripensare la relazione tra persone e macchine. Non sono più strumenti da usare, ma veri e propri “colleghi digitali”.

Questo pone nuove domande: i manager devono trattare gli agenti come membri del team a tutti gli effetti, con obiettivi e responsabilità? Fino a che punto i lavoratori umani devono imparare a fidarsi delle decisioni prese dalle macchine? E in quali casi, invece, il giudizio umano deve prevalere anche a costo di rallentare i processi?

Il rischio è duplice: da un lato un’eccessiva fiducia cieca nell’AI, dall’altro una resistenza culturale che ne limita l’efficacia. La sfida del management è costruire un modello di collaborazione ibrido, in cui la velocità e la capacità di analisi dell’AI si integrino con il senso critico, l’empatia e la visione strategica delle persone.

Il web agentico e l’impatto sugli ecosistemi digitali

Se dentro le aziende gli agenti AI rappresentano già una sfida, il vero salto avverrà con il web agentico.

Il report The GenAI Divide: State of AI in Business 2025,realizzato dal NANDA (Networked agents and decentralized architecture), un’iniziativa del MIT Media Lab, individua proprio nel web agentico una delle soluzioni agli attuali problemi di integrazione e implementazione dell’AI nelle aziende. Per il 66% dei dirigenti interpellati dallo studio, infatti, non basta un’AI che risponda: serve un’AI che ricordi, mantenga il contesto, integri i feedback, si adatti e migliori.

In uno scenario in cui sistemi autonomi navigano la rete, interagiscono tra loro, acquistano servizi o negoziano risorse, i manager dovranno affrontare dinamiche ancora più complesse. Non si tratterà più soltanto di gestire un agente interno, ma di inserirsi in un ecosistema popolato da altri agenti, di altre organizzazioni, che competono e collaborano a una velocità inedita.

È un futuro che ricorda le teorie sulla “superhuman workforce”: un ambiente dove umani e agenti digitali coesistono, scambiando informazioni e prendendo decisioni con logiche ibride. Per il management, questo significherà non solo supervisionare i propri sistemi, ma anche sviluppare competenze per interagire con quelli esterni, in un mercato sempre più dominato da dinamiche agentiche.

Quali competenze servono ai manager per gestire l’AI agentica?

L’arrivo dell’AI agentica segna l’inizio di una nuova era per il management. Non basta aggiornare procedure o strumenti: serve un vero cambio di mentalità. Il manager del futuro non sarà solo un supervisore di persone, ma un orchestratore di ecosistemi ibridi di umani e agenti.

Questo richiede nuove competenze: capacità di leggere il funzionamento dei sistemi, comprensione dei rischi etici e legali, attitudine a stabilire regole chiare e protocolli di escalation. Ma richiede anche soft skill che restano insostituibili: la capacità di dare senso al lavoro, di motivare, di integrare punti di vista diversi. In altre parole, se l’AI agentica spinge verso la velocità e l’autonomia, il manager deve bilanciare con responsabilità, visione e umanità.

Parlare di AI agentica e di web agentico significa guardare al futuro del lavoro con occhi nuovi. Gli agenti non sono più strumenti, ma colleghi superumani che operano accanto a noi. Sono rapidi, potenti e, per certi versi, imprevedibili. Gestirli richiede regole esplicite, governance continua e un nuovo equilibrio tra fiducia e supervisione.

Non è solo una questione tecnologica, ma di cultura organizzativa, di leadership e di approccio. “La vera sfida – come afferma Cristina Favini, General manager e Chief design officer della Independent design company logotel – non è l’AI in sé, ma le nuove dinamiche di interazione, relazione e collaborazione tra persone, team, clienti, partner, agenti AI​”.

E per scalare l’adozione e l’implementazione in azienda di un’intelligenza artificiale che convogli verso i problemi reali il suo potenziale trasformativo, occorre immaginare, progettare e realizzare una nuova generazione di ecosistemi collaborativi con un approccio People & Community driven.

Le aziende che sapranno integrare con questo approccio gli agenti come parte integrante della forza lavoro avranno un vantaggio competitivo enorme. Quelle che resteranno ancorate a modelli tradizionali rischiano di essere travolte da una trasformazione che, silenziosamente, è già iniziata.