AI, in Italia una persona su due è più preoccupata che entusiasta: come superare i timori

Secondo il Pew Research Center, il 50% degli italiani è più preoccupato che entusiasta per l’AI. Il livello di istruzione influenza la percezione: ecco perché la formazione è centrale per superare le preoccupazioni.

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L’Italia è uno dei Paesi al mondo più preoccupati per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Lo afferma un survey del Pew research center, uno dei più autorevoli istituti di sondaggi e ricerche degli Stati Uniti.

L’indagine How People Around the World View AI, diffusa a ottobre 2025, ha coinvolto oltre 36.000 persone in 25 Paesi di cinque continenti. Anche a livello globale, il dato che emerge è che la preoccupazione rispetto all’AI prevale sull’entusiasmo: il 34% degli intervistati mostra più timore che entusiasmo, il 42% manifesta allo stesso modo preoccupazione ed entusiasmo e solo il 16% è più entusiasta che preoccupato.

Oltre a fotografare il sentimento generale nei confronti di queste nuove tecnologie, il report è interessante perché traccia alcune correlazioni tra la percezione dell’AI e alcune variabili come il grado di istruzione, il livello di utilizzo di internet e l’età delle persone.

In circa la metà dei Paesi analizzati, ad esempio, le persone con un livello di istruzione inferiore sono risultate più propense a essere preoccupate per l’AI nella vita quotidiana rispetto a coloro con un livello di istruzione più alto.

Il report sembra quindi confermare quanto emerso anche da altre ricerche: e cioè l’importanza di investire nella formazione (anche di base) e nel training sull’AI per consentire a tutte le persone un utilizzo e una adoption efficace e consapevole dell’intelligenza artificiale.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio alcuni degli insight del report del Pew research center e proviamo a capire cosa può fare il sistema Paese per superare i timori legati all’AI.   

La percezione dell’AI per gli italiani

Facciamo un focus sui dati del report del Pew research center relativi all’Italia. Con il 50% delle persone intervistate più preoccupate che entusiaste dell’AI, il nostro Paese si posiziona al primo posto (ex aequo con gli Stati Uniti) nella classifica delle nazioni che potremmo definire più caute.

Chi è, alla stessa misura, preoccupato ed entusiasta è il 37%. Mentre quelli per cui l’entusiasmo supera i timori sono appena il 12%, uno dei dati più bassi tra i 25 Paesi indagati.

La preoccupazione è più diffusa tra le persone di oltre 50 anni (58%), si riduce al 41% per la fascia di età compresa tra i 35 e 49 anni e cala ulteriormente al 34% tra coloro che hanno tra 18 e 34 anni. Una dinamica simile a quella della maggior parte dei Paesi analizzati, che mostrano tutti un gap di fiducia tra le persone più anziane e quelle più giovani.    

Chi deve governare l’AI: l’Ue ispira maggiore fiducia rispetto a Stati Uniti e Cina

Un altro elemento indagato dal report del Pew research center riguarda il livello di fiducia dei cittadini nelle istituzioni che dovrebbero regolare l’AI.   

A livello globale, il 55% degli intervistati confida molto nei propri Paesi, che si affermano quindi come le principali autorità che dovrebbero garantire una corretta governance dell’intelligenza artificiale.

Il livello di fiducia è particolarmente alto in India (dove l’89% si fida molto o in qualche misura del governo), Indonesia (74%), Israele (72%), e anche in Germania (70%) e Olanda (68%), i migliori d’Europa.

In Grecia, invece, la fiducia dei cittadini nel proprio Paese crolla al 22%. Non va molto meglio in Italia, dove solo il 37% rivela di fidarsi molto o in qualche misura nelle capacità interne di governance. Nel nostro Paese prevale la sfiducia, che si attesta al 48%.

Se si guarda al di fuori dei propri confini e si pensa ai tre principali player nel settore dell’AI (Stati Uniti, Cina ed Unione europea), il report evidenzia come vi sia un grosso gap di fiducia tra l’Ue e gli altri due attori. A livello globale, il 53% degli intervistati afferma di fidarsi molto o in qualche misura nelle capacità regolatorie dell’Ue. Le percentuali calano al 37% per gli Stati Uniti e al 27% per la Cina.

L’Ue è fonte di fiducia per il 42% degli italiani – una percentuale superiore a quella per le autorità nazionali. In maniera piuttosto sorprendente, il secondo player a livello mondiale che ispira maggior fiducia nella regolamentazione dell’AI agli italiani è la Cina (33%), che supera di poco gli USA (32%).

Il report evidenzia anche in questo caso delle correlazioni. Le persone che hanno opinioni favorevoli sull’UE, sugli Stati Uniti e sulla Cina sono più propense a credere che questi soggetti possano regolamentare l’AI in modo efficace. E chi è più entusiasta che preoccupato per l’aumento dell’uso dell’AI tende anche ad avere maggiore fiducia nella capacità di questi attori di regolamentarla.

Come cambia la percezione in base al livello di istruzione

Abbiamo già scritto come la percezione dell’AI cambi in base al livello di istruzione e all’età: una maggiore educazione determina meno timori, un’età più avanzata è correlata con maggiori preoccupazioni.

Altre correlazioni interessanti che emergono dal survey del Pew research center riguardano la frequenza di utilizzo di internet da parte degli intervistati e il loro livello di consapevolezza rispetto all’intelligenza artificiale.

Nella gran parte dei Paesi analizzati, chi utilizza con frequenza internet e coloro che hanno sentito parlare molto di AI sono più propensi a essere entusiasti di queste tecnologie. L’esempio più evidente riguarda la Corea del Sud: il 39% dei sudcoreani che hanno sentito parlare molto di AI è più entusiasta che preoccupato per il suo crescente utilizzo, rispetto al 19% di coloro che ne hanno sentito parlare poco.

Cosa ci dicono i dati: la centralità della formazione

Cosa si può ricavare dalla fotografia scattata dal Pew research center? In primo luogo, ricollegandoci alle ultime correlazioni evidenziate dalla ricerca, che è fondamentale continuare a discutere di AI.

Ci rifacciamo in questo senso a quanto ha detto Marco Bani, Responsabile Affari Istituzionali, Formazione e Digitalizzazione per il Partito democratico al Senato della Repubblica, in un’intervista al magazine della Independent design company logotel: “Parlare di intelligenza artificiale diventa un atto politico, nel senso più nobile del termine: discussione pubblica, confronto collettivo. Proprio per capire insieme come viene utilizzata e come utilizzarla al meglio. Per questo motivo l’IA deve essere un tema popolare, accessibile, di cui discutere il più possibile. Solo così potremo davvero decidere il futuro, invece di subirlo”.

Parlarne, però, non basta. Occorre che le persone comprendano bene come funzionano queste tecnologie, quali sono i rischi e le opportunità che offrono. In questo senso, alcuni mesi un’indagine Legacoop e Ipsos ha rivelato che la metà degli italiani non comprende bene cosa sia l’intelligenza artificiale. Un dato che sembra corroborare il rapporto diretto tra la scarsa conoscenza dell’AI e le preoccupazioni per il suo utilizzo sempre più pervasivo.

Per fare in modo che le persone comprendano bene rischi, opportunità e implicazioni dell’AI, per “decidere il loro futuro invece di subirlo”, è fondamentale investire sulla formazione.

Sia in ambito pubblico, con percorsi di alfabetizzazione di base che dovrebbero coinvolgere scuole e università, sia a livello privato, con un maggiore sforzo sulla cosiddetta AI literacy che, oltre a essere un driver di sviluppo e competitività per le aziende, con l’AI Act è diventato anche un obbligo normativo.

Quale formazione è efficace sull’AI? L’approccio community-driven

Si ripropone però un tema: quale formazione è efficace su un tema così nuovo e in evoluzione come l’intelligenza artificiale?

In un’intervista al magazine logotel, Claudio Magni, Head of Development di Italgas, ha evidenziato i limiti di un approccio tradizionale per la formazione sull’intelligenza artificiale. È una situazione che accomuna molte delle aziende che stanno cercando di adottare l’intelligenza artificiale e promuoverne il suo utilizzo tra le proprie persone.

Nel caso di Italgas, l’azienda ha compiuto un passo in avanti significativo cambiando approccio. Il successo del progetto Dojo – community di adozione e apprendimento dell’AI realizzata in collaborazione con logotel – dimostra quanto un approccio community-driven – basato sulla creazione e gestione di comunità di apprendimento, sperimentazione e innovazione che fungono da acceleratori della trasformazione AI-driven – sia efficace per accompagnare persone e aziende in un cambiamento sostenibile nel tempo.

Riflessioni conclusive: un Paese da accompagnare nella trasformazione AI

Il quadro che emerge dal report del Pew Research Center restituisce un’Italia consapevole ma cauta. Il 50% di persone più preoccupate che entusiaste non è un dato da leggere necessariamente in negativo: indica che gli italiani stanno riflettendo sull’impatto dell’intelligenza artificiale, ponendosi domande sul suo ruolo nella società e nel mondo del lavoro.

Quello che colpisce di più, però, sono le correlazioni evidenziate dalla ricerca: la percezione dell’AI cambia significativamente in base all’età, al livello di istruzione, alla frequenza di utilizzo di internet e alla consapevolezza che si ha della tecnologia.

Più si conosce l’AI, più si utilizza internet, più si è giovani e istruiti, minore è la preoccupazione. Questo ci dice che il tema non è tanto l’AI in sé, quanto l’accesso diseguale alle informazioni e alle competenze necessarie per comprenderla.

Il divario tra chi è più preoccupato e chi è più entusiasta riflette, in fondo, divari più profondi: generazionali, educativi, digitali. La sfida per l’Italia – e per tutti i Paesi con dinamiche simili – non è quindi convincere le persone a non preoccuparsi, ma creare le condizioni perché tutti possano sviluppare una comprensione critica e informata dell’intelligenza artificiale. Questo richiede investimenti nell’educazione digitale e nella formazione sull’AI, anche da parte delle imprese.

L’AI è qui per restare e continuerà a evolversi. La domanda non è se gli italiani la accetteranno, ma come il sistema Paese – istituzioni, aziende, sistema educativo – saprà accompagnare questa trasformazione, riducendo i divari e costruendo una comprensione diffusa che trasformi la preoccupazione in partecipazione consapevole al cambiamento.