Customer experience 2026: dalla fuga dall’open web all’ascesa dell’AI agentica
Dal declino dell’open web all’agentic commerce: ecco alcuni dei trend che ridefiniscono fiducia, personalizzazione e relazione tra brand e clienti nel 2026.
Dal declino dell’open web all’agentic commerce: ecco alcuni dei trend che ridefiniscono fiducia, personalizzazione e relazione tra brand e clienti nel 2026.
Nel 2026 la customer experience si appresta a entrare in una fase di transizione critica. Fiducia, trasparenza e valore diventano le parole chiave per costruire relazioni durature, mentre le aziende si trovano a navigare tra il ritorno dell’esperienza fisica, il declino dell’open web e le promesse (non sempre mantenute) dell’intelligenza artificiale.
I segnali che arrivano da alcune autorevoli fonti internazionali parlano chiaro: le strategie frammentate, i funnel impersonali e le esperienze iper-automatizzate non bastano più. Le persone chiedono autenticità, empatia, connessioni che abbiano un senso, anche quando si muovono in un ambiente digitale sempre più dispersivo.
Secondo le Predictions 2026 di Forrester, il prossimo anno rappresenterà un punto di svolta per i team CX: chi saprà evolversi, integrando responsabilmente l’AI e ridefinendo il proprio ruolo come motore di valore per il business, prospererà. Chi resterà ancorato alle vecchie pratiche – inseguendo metriche e mappando journey mentre il mondo va avanti – rischia di diventare irrilevante.
Vediamo quindi quali saranno le principali tendenze della customer experience nel 2026 e come le aziende possono prepararsi ad affrontarle.
Il primo grande cambiamento riguarda l’infrastruttura digitale su cui da anni si costruiscono esperienze e strategie di marketing: l’open web, e cioè i normali siti rivolti al pubblico e accessibili attraverso browser tradizionali.
Forrester prevede che gli investimenti in display advertising – gli annunci visivi pubblicitari diffusi sul web – caleranno del 30%, perché le persone stanno progressivamente abbandonando i siti tradizionali, attratte da ecosistemi chiusi, piattaforme conversazionali AI-driven, contenuti generati dall’AI (come AI Overview) e ambienti digitali più controllati: è l’era zero-click.
Il risultato? I formati pubblicitari tradizionali – dal banner statico al video in autoplay – diventano sempre meno efficaci. La spesa si sposta verso ambienti più interattivi e integrati, come gli Showroom Ads di Microsoft o gli strumenti conversazionali personalizzati delle grandi piattaforme.
Non si tratta solo di advertising. Si tratta di attenzione. E nel nuovo contesto, l’attenzione si guadagna costruendo valore, non acquistandolo.
A sorprendere è la voglia delle persone di tornare all’esperienza in negozio, nel mondo reale. Secondo le previsioni Forrester sui consumatori, un terzo delle persone – in particolare negli Stati Uniti – nel 2026 sceglierà esperienze di marca offline rispetto al digitale.
È un segnale potente. Dopo anni di digitalizzazione forzata, il contatto umano, l’esperienza tattile e l’ambiente immersivo tornano centrali nella costruzione di fedeltà e relazione. Del resto, secondo i dati riportati da LS Retail, fornitore globale di soluzioni software per retail e hospitality, i negozi fisici rappresentano ancora quasi l’80% delle vendite retail totali negli USA. Una percentuale che Forrester prevede rimarrà sostanzialmente stabile fino al 2028.
Anche dall’Italia arrivano segnali analoghi. Secondo l’ultimo Rapporto Coop sui consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani, il 64% degli italiani si sente gratificato quando trascorre tempo di qualità con amici e famiglia e il 55% quando fa viaggi o brevi vacanze. Segno che il vero consumo è l’esperienza.
Alcuni brand si stanno già muovendo: Starbucks sta ridisegnando i propri punti vendita per valorizzare l’esperienza in-store, TikTok apre esperienze retail fisiche per le community più giovani, Coach lancia eventi dedicati alle nuove generazioni. È un cambio di paradigma: il digitale non scompare, ma smette di essere l’unico canale, diventando parte di un ecosistema più ampio dove la fisicità riconquista significato.
L’evoluzione della customer experience non può non tenere conto della rivoluzione legata all’AI. Eppure il 2026 Consumer Experience Trends Report di Qualtrics – leader globale nell’Experience Management, che con il Qualtrics XM Institute pubblica ricerche su decine di migliaia di consumatori – fotografa un paradosso eloquente.
Secondo l’indagine, che ha coinvolto oltre 20.000 consumatori in 14 Paesi, il 73% dei consumatori utilizza ormai l’AI per attività quotidiane, eppure il customer service resta il suo punto debole.
Quasi un consumatore su cinque che ha utilizzato l’AI per l’assistenza clienti non ha ottenuto alcun beneficio dall’esperienza, un tasso di insuccesso quasi quattro volte superiore rispetto ad altri utilizzi dell’intelligenza artificiale. Il servizio clienti basato su AI si posiziona agli ultimi posti per comodità, risparmio di tempo e utilità percepita.
“Troppe aziende stanno implementando l’AI per tagliare i costi, non per risolvere problemi e i clienti se ne accorgono”, ha dichiarato Isabelle Zdatny, Head of thought leadership del Qualtrics XM Institute.
Anche Forrester lancia un avvertimento analogo: nel 2026, tre aziende su dieci danneggeranno la propria Total Experience con implementazioni premature e frustranti di self-service basato su AI. La pressione per ridurre i costi operativi spingerà molte organizzazioni a lanciare chatbot e agenti virtuali prima che siano pronti e in contesti dove difficilmente riusciranno a performare adeguatamente.
Il messaggio è chiaro: l’AI dovrebbe essere utilizzata per costruire connessioni e potenziare l’esperienza umana, non per sostituirla.
Negli ultimi anni, i team di customer experience hanno dedicato risorse e attenzione alla mappatura dei customer journey, nel tentativo di prevedere e disegnare percorsi lineari tra touchpoint fisici e digitali. Ma nel 2026, secondo Forrester, due terzi di questi team abbandoneranno la pratica, riconoscendo che non basta più.
I customer journey non sono lineari. Non lo sono mai stati, ma oggi, in un contesto dove le scelte delle persone sono guidate da contesti mutevoli, esperienze frammentate e agenti AI personalizzati, cercare di incasellare i comportamenti in una mappa statica diventa controproducente. Serve un cambio di approccio: passare dal mappare percorsi al costruire relazioni dinamiche, fondandosi su team cross-funzionali permanenti, su metriche condivise e su una visione customer-centric più fluida, in grado di adattarsi in tempo reale.
Il 2025 è stato spesso definito l’anno degli agenti AI. Nel 2026, assisteremo all’ascesa dell’agentic commerce, cioè interazioni costruite attraverso agenti conversazionali autonomi che accompagnano le persone lungo l’intero ciclo d’acquisto, dalla scoperta alla transazione.
Secondo un report della società di consulenza McKinsey, questo rappresenta un momento di “distruzione creativa” per il retail: in un mondo agentico, il cliente potrebbe non essere più un essere umano con un browser, ma un agente autonomo che agisce per suo conto. La durata delle attività che i modelli linguistici possono completare in modo affidabile sta raddoppiando ogni sette mesi dal 2019.
Il 70% degli acquirenti ha già utilizzato strumenti AI per assistenza durante lo shopping, e nel 2026 inizieranno a dipendere sempre più da agenti intelligenti per pianificare, confrontare e completare gli acquisti.
Per i brand, questo significa ripensare completamente discovery, attribuzione e pricing. Chi vorrà vincere dovrà rendere i propri cataloghi “agent-ready” – strutturati e leggibili dalle macchine, e prepararsi a strategie di loyalty che non si rivolgono solo ai consumatori umani, ma anche ai loro agenti digitali.
In generale, si dovrà ripensare tutta l’experience, come immagina Alberto Maestri, Ceo di GreatPixel, in un’intervista al magazine della Independent design company logotel:
“Oggi l’esperienza non può essere privilegio di una sola classe di attori (quelli umani), ma deve essere ri-concettualizzata. Va superata un’esperienza implicante esclusivamente l’umano, oggetto-centrica e corpo-centrica. Cosimo Accoto, amico e Fellow del MIT (Massachussetts Institute of Technology) di Boston, l’ha pertanto battezzata ex-perience”.
C’è un’altra tendenza preoccupante che emerge dai dati Qualtrics: i clienti stanno smettendo di parlare. Solo il 29% dei consumatori comunica direttamente con le aziende dopo un’esperienza negativa, in calo di 7,5 punti dal 2021. Il 30% non dice nulla, un aumento di 9 punti nello stesso periodo.
Questo lascia i business leader al buio quando si tratta di comprendere i cambiamenti nei comportamenti dei consumatori o le ragioni dell’abbandono. Per colmare questo gap, le organizzazioni di successo dovranno collegare segnali dispersi – feedback indiretti, social media, recensioni, dati comportamentali – per comprendere il sentiment dei clienti anche quando non viene esplicitamente dichiarato.
Come emerso da questa rapida e non esaustiva panoramica, le sfide e le tendenze che plasmeranno le esperienze del prossimo futuro sono molteplici. Logotel crede che il design possa fornire metodi e strumenti per rispondere a ogni bisogno con efficacia, come ha spiegato su Linkedin Alice Manzoni, Executive director Design: “Il design è un elemento fondamentale che integra diversi punti di vista e permette di dar forma a opportunità e immaginare visioni del futuro”.
Alice ha individuato tre ingredienti chiave per rispondere a un contesto in evoluzione: “Il primo è la capacità di interpretare le esigenze delle persone in modo dinamico, cogliendo gli elementi del contesto che cambiano più rapidamente che mai e anticipando le possibili aspettative”.
“Il secondo è la capacità di dar forma alle nuove opportunità – dall’unione di pensiero critico e pensiero creativo –, in soluzioni ed elementi che ci proiettano verso il futuro”.
“Il terzo è la capacità di fare tutto ciò attraverso soluzioni che integrano creatività, efficacia ed efficienza, per disegnare esperienze che siano piacevoli, utili e che supportino l’adozione di nuovi comportamenti”.
Un vecchio proverbio danese recita: “È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”. E la velocità di alcune delle trasformazioni a cui stiamo assistendo in questa era invita a dare retta più che mai a questo modo di dire. Ma al di là di tutti i trend analizzati, c’è un filo conduttore che ritorna con forza in tutte le analisi: la fiducia.
Il 2026 sarà un anno critico anche per quanto riguarda la privacy. Le violazioni legate all’uso dell’AI porteranno a un aumento del 20% delle class-action negli Stati Uniti, spingendo le aziende a rivedere in profondità il modo in cui raccolgono, trattano e utilizzano i dati personali.
Il messaggio è chiaro: le esperienze non possono essere più progettate solo per convertire. Devono essere progettate per costruire valore reciproco, trasparente, sostenibile. Un valore che si misura in fedeltà reale, relazioni durature, capacità di ascolto.