Nel giro di due anni, la fiducia degli italiani nei confronti dell’intelligenza artificiale è cresciuta del 15%. Secondo l’ultimo Rapporto Coop 2025 sui consumi e gli stili di vita degli italiani di oggi e di domani, quasi un italiano su due guarda a queste nuove tecnologie con speranza.
Uno dei dati che più colpiscono del report è però la disparità tra utilizzo privato dell’AI – nello specifico, si parla di AI generativa – e l’utilizzo sul lavoro. Mentre quasi un italiano su due (49%) usa l’AI generativa nella vita privata, solo il 23% la utilizza per lavoro.
E così, mentre in privato l’AI diventa una confidente a cui chiedere consigli per la propria vita sentimentale, da cui ricevere supporto emotivo o perfino un aiuto a trovare uno scopo nella vita, in ufficio questa tecnologia stenta a diventare una collega con cui collaborare. Con il rischio, per singoli individui, aziende e organizzazioni, di non sfruttare appieno il suo potenziale.
In questo articolo esaminiamo i principali insight del Rapporto Coop 2025 sulla relazione tra italiani e intelligenza artificiale, con un focus sul gap ancora esistente tra la dimensione privata e quella lavorativa.
Italiani e AI: i principali insight dal Rapporto Coop 2025
Gli italiani hanno abbracciato con convinzione l’intelligenza artificiale generativa: ChatGPT, Copilot, Claude e tutti gli altri sistemi che, a partire dal 2022, sono diventati mainstream. Chi non ne ha mai sentito parlare è solo l’1%. Chi la conosce, ma non la utilizza ancora è il 26%. Significa che, per oltre un terzo degli italiani, la Gen AI è una compagna quotidiana.
Certo, c’è da chiedersi quanto questa adozione sia consapevole: un altro report pubblicato appena qualche mese fa denunciava la scarsa comprensione dei sistemi di AI da parte degli italiani.
Messe però per il momento da parte queste remore, il Rapporto Coop 2025 evidenzia come la fiducia e le aspettative nei confronti dell’AI superino di gran lunga i timori. Rispetto a questi ultimi, il 42% degli intervistati teme che l’AI renderà sempre più difficile distinguere il vero dal falso, mentre il 31% teme di essere sostituito da queste tecnologie e di perdere il lavoro.
Rischi offuscati dalle speranze: il 35% degli italiani confida nell’AI per accelerare la ricerca scientifica, il 32% spera che queste tecnologie aiutino a ridurre gli errori umani in settori critici come medicina e finanza, mentre il 30% spera che l’intelligenza artificiale potrà aiutarlo a rendere più efficienti le attività quotidiane.
AI: confidente, collaboratrice domestica, assistente
Il salto qualitativo nel rapporto con l’intelligenza artificiale si manifesta soprattutto negli utilizzi più intimi e personali. Secondo il Rapporto Coop, le piattaforme di AI generativa vengono già oggi utilizzate per cercare supporto emotivo e psicologico, gestire relazioni personali e orientarsi nella vita sentimentale.
Sono realtà scenari preconizzati da film come Her, in cui il protagonista intreccia una relazione sentimentale con un’assistente virtuale dotata di un sistema operativo evoluto, o da alcuni episodi della serie tv Black Mirror.
E in futuro, di fronte a intelligenze artificiali ancora più evolute e dotate di un “corpo” robotico, il rapporto tra gli italiani e queste tecnologie potrebbe diventare ancora più stretto. Una persona su due affiderebbe all’AI le faccende domestiche, mentre uno su quattro sarebbe disposto a delegarle l’assistenza agli anziani – che in una società che invecchia come quella italiana diverrà un tema sempre più centrale –, la guida autonoma di veicoli o la preparazione dei pasti.
Non solo: gli italiani, in misura minore, saranno disposti ad affidarsi a robot potenziati dall’intelligenza artificiale per avere una guida su decisioni finanziarie (21%), ottenere una consulenza medica di base (19%), svolgere attività di insegnamento e formazione 17%, fare la spesa 14% e occuparsi degli animali domestici 10%.
Sono dati che rivelano come l’AI sia percepita non più solo come strumento, ma come vero e proprio “attore sociale” con cui instaurare rapporti di fiducia. E mostrano anche come non vi sia praticamente ambito o professione che non saranno impattati dall’intelligenza artificiale.
Il gap da colmare per organizzazioni e aziende: superare l’AIndividualismo
È proprio in ambito professionale che, però, l’adozione dell’AI sta avvenendo con una velocità minore. Le ragioni di questo gap possono essere molteplici.
Sul fronte individuale, possono esserci ancora resistenze culturali e anche timori legati alla presunta inadeguatezza rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie.
Sul fronte delle aziende, invece, possono esserci resistenze a livello organizzativo e timori legati al controllo: ci sono imprese che ancora faticano a integrare questi strumenti nei processi lavorativi e che vedono la tecnologia più come una minaccia che come un’opportunità.
Spesso questi atteggiamenti sfociano in policy restrittive o veri e propri divieti all’utilizzo di tool, che alimentano però un comportamento che si sta diffondendo sempre di più: lo shadow AI.
Si tratta dell’uso non autorizzato di strumenti o applicazioni AI da parte dei dipendenti ed è diverso dal BYOAI (Bring your own AI), descritto in questo articolo. Un recente articolo apparso su Newsweek rivela che quasi la metà dei dipendenti ammette di utilizzare di nascosto tool di AI vietati al lavoro, e questo dato da solo potrebbe spiegare il gap nell’adoption ufficiale tra la dimensione privata e quella lavorativa.
Un’altra ragione che può spiegare il ritardo nell’adozione lavorativa dell’AI è legata alla formazione. Le modalità formative tradizionali non bastano, quando si parla di AI. È fondamentale che le aziende si dotino di spazi e occasioni di confronto sperimentazione collettiva, dove le persone possano sperimentare liberamente e senza il timore di essere giudicate. Un esempio, a riguardo, è la community di adozione dell’AI Dojo realizzata dall’Independent design company Logotel.
Infine, un ultimo motivo che può spiegare questo gap è che molte aziende, come spiega anche il professore della Wharton University Ethan Mollick nel suo blog One useful thing, non hanno ancora capito come trasferire a livello di organizzazione i benefici dell’AI in termini di produttività individuale.
Servirebbe superare l’utilizzo individualistico dell’AI. Un cambio di paradigma di cui ha parlato recentemente, dal palco dell’AI Week, anche la direttrice generale e Chief design officer di Logotel, Cristina Favini, che ha coniato un termine per definire questa “trappola”: l’AIndividualismo.
Per Favini occorre cambiare e ampliare prospettiva, andando oltre l’uso individualistico della tecnologia. Solo sviluppando ecosistemi collaborativi tra persone, team e AI si può generare valore reale che abbia senso per le imprese, le organizzazioni e le comunità.
In conclusione
Il Rapporto Coop 2025 ci consegna l’immagine di un’Italia che ha superato le iniziali diffidenze verso l’intelligenza artificiale, abbracciandola come parte integrante del quotidiano. Ma questa rivoluzione rischia di rimanere incompiuta se confinata alla sfera privata.
La sfida per il futuro non è più convincere gli italiani a usare l’AI – lo stanno già facendo – ma trasformare questa familiarità individuale in valore collettivo per aziende e organizzazioni.
Solo superando l’AIndividualismo e portando nelle organizzazioni la stessa apertura sperimentale che caratterizza l’uso privato, l’Italia potrà sfruttare appieno il potenziale di queste tecnologie.