AI fluency e immersive learning: i trend del futuro nel mondo della formazione aziendale

Le aziende stanno ripensando lo sviluppo delle competenze legate all’intelligenza artificiale:
non più corsi episodici, ma alfabetizzazione continua integrata nel lavoro quotidiano.

Negli ultimi anni il tema delle competenze è diventato uno snodo cruciale per le organizzazioni.

La trasformazione tecnologica, l’avanzata dell’intelligenza artificiale e i cambiamenti nei modelli di lavoro hanno reso evidente una verità: le aziende che prospereranno non saranno necessariamente quelle con le tecnologie più sofisticate, ma quelle capaci di far crescere le persone e di allineare i percorsi di apprendimento alle sfide del business.

In questo contesto, il Global Learning & Skills Trends Report 2026 di Udemy, una delle principali piattaforme di e-learning globali, offre una bussola preziosa per capire quali direzioni stia prendendo la formazione. In questo articolo vediamo i principali insight del report.

L’AI fluency come nuova alfabetizzazione

Uno dei concetti centrali del report è quello di AI fluency. Non si tratta semplicemente di imparare a usare strumenti come ChatGPT o Microsoft Copilot, ma di sviluppare una vera e propria alfabetizzazione all’uso dell’AI.  

In passato, l’alfabetizzazione digitale consisteva nel saper gestire un foglio di calcolo o una piattaforma collaborativa. Oggi la sfida è più sottile: significa saper dialogare con sistemi generativi, comprenderne i limiti, valutarne l’affidabilità, e soprattutto integrare l’AI nei processi quotidiani senza perdere spirito critico.

Udemy sottolinea che l’AI fluency va oltre l’adozione tecnica. È un tema culturale, che riguarda la mentalità con cui le persone si avvicinano a questi strumenti. “Saper fare un prompt” è necessario – e qui trovate qualche consiglio utile sull’arte e la scienza del prompting – ma non sufficiente: occorre capire, come suggerito anche dall’esperto di Ai Ethan Mollick, quando ha senso usare l’AI, come validare i risultati e come trasformare l’output in valore concreto.

Ma è anche un tema normativo: l’AI Act approvato dall’Unione Europea impone ai fornitori (chi sviluppa e commercializza) e agli utilizzatori (chi usa sistemi AI in contesto professionale) di sistemi di intelligenza artificiale di sviluppare un livello sufficiente di alfabetizzazione nell’AI, che l’UE definisce AI literacy.

È un passaggio che, se affrontato in modo superficiale, rischia di generare illusioni o abusi; se invece viene coltivato con metodo, può diventare un acceleratore di produttività e innovazione.

L’esplosione della domanda di formazione in AI

I dati del report parlano chiaro. Negli ultimi dodici mesi le iscrizioni a corsi sull’intelligenza artificiale generativa sulla piattaforma di e-learning hanno superato gli 11 milioni, con tassi di crescita vertiginosi sui contenuti dedicati a strumenti come GitHub Copilot (+13.534%) e Microsoft Copilot (+3.400%). È la conferma che l’interesse non riguarda più solo gli addetti all’innovazione o gli sviluppatori, ma ormai pervade tutte le funzioni aziendali.

Questa corsa alla formazione in AI va letta come un segnale di maturazione del mercato. Le aziende non si limitano a sperimentare: vogliono integrare l’IA nelle attività quotidiane, automatizzare compiti ripetitivi, migliorare la qualità dei processi decisionali.

Ma, come nota Udemy, siamo ancora in una fase in cui molte organizzazioni affrontano l’AI come una somma di strumenti da imparare, non come un cambiamento sistemico. Solo l’1% delle aziende si dichiara veramente pronta ad affrontare gli effetti trasformativi dell’AI.

È un divario che spiega perché l’AI fluency debba diventare un imperativo: non basta addestrare le persone, bisogna costruire una cultura di sperimentazione diffusa.

In questo, le evidenze del report di Udemy trovano conferme in quanto sta sperimentando in tema di AI adoption la Independent design company logotel. La formazione sull’AI e l’adozione di queste tecnologie devono seguire strade nuove e diverse rispetto alle modalità formative tradizionali, che da sole non bastano.

Un approccio efficace, secondo la design company e i suoi clienti, è quello community-driven: creare e gestire comunità di apprendimento, sperimentazione e innovazione che fungono da acceleratori della trasformazione AI-driven, come avvenuto nel case study Dojo progettato per Italgas.

Immersive learning: imparare nel flusso di lavoro

Accanto al tema dell’alfabetizzazione all’IA, il report Udemy evidenzia un altro trend: quello dell’immersive learning. Non si parla di realtà virtuale in senso stretto, ma di una nuova concezione della formazione che si innesta nei flussi operativi.

Il principio è semplice: la formazione più efficace non è quella separata dal lavoro quotidiano, ma quella che si integra in esso, offrendo alle persone strumenti, simulazioni e feedback nel momento stesso in cui svolgono le loro attività.

Udemy cita esempi come gli “AI Role Play”, che permettono a manager e professionisti di simulare scenari complessi con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ricevendo correzioni e suggerimenti in tempo reale. È un approccio che riduce la distanza tra apprendimento e applicazione, e che risponde al bisogno crescente di apprendere in modo contestuale, pratico e personalizzato.

In un mondo in cui le competenze invecchiano sempre più rapidamente – secondo il Future of jobs report 2025 del World economic forum, il 39% delle skill subiranno trasformazioni o diventeranno obsolete entro il 2030 –, l’immersione nel flusso del lavoro rappresenta un antidoto alla formazione episodica e poco efficace.

Il ritorno delle competenze umane

Paradossalmente, più cresce l’uso dell’IA e più si rafforza la domanda di competenze umane. Pensiero critico, comunicazione, creatività, leadership: sono queste le skill che hanno registrato incrementi significativi nell’interesse formativo, con crescite vicine al 40% per decision-making e pensiero critico. È la conferma che le aziende non possono contare solo sull’automazione: hanno bisogno di persone capaci di interpretare, di guidare e di integrare.

L’AI è potente nel generare contenuti, analizzare dati, automatizzare attività. Ma rimane fragile sul piano del contesto, dei valori, dell’empatia. Le competenze adattive (adaptive skills) diventano allora il complemento indispensabile per evitare che la tecnologia venga usata in modo acritico. Le aziende che riescono a bilanciare AI fluency e soft skills creano un mix virtuoso: da un lato accelerano i processi, dall’altro preservano la qualità delle decisioni e delle relazioni.

Leadership ed etica: il tallone d’Achille

Un altro punto messo in luce dal report riguarda la leadership. Se da un lato l’88% dei dipendenti considera cruciale una leadership capace di guidare l’adozione dell’AI, solo il 48% ritiene che i propri manager siano davvero pronti. È un gap pericoloso, perché rischia di frenare la trasformazione culturale.

La crescita quasi raddoppiata del consumo di contenuti legati all’etica dell’IA (+98%) mostra che le persone cercano riferimenti chiari, non solo su come usare gli strumenti, ma su come farlo in modo responsabile.

Qui si apre una sfida per le direzioni HR e per i leader aziendali: diventare modelli di riferimento, non solo promotori di tool. Una leadership efficace nell’era dell’IA deve coniugare sperimentazione, senso critico, attenzione al benessere dei team. Non basta incentivare l’uso di Copilot o ChatGPT: serve spiegare perché e come usarli, quali rischi evitare, come integrare l’IA in processi che restino umani e sostenibili.

Dal training alla trasformazione culturale

Il messaggio di fondo del report Udemy è chiaro: la formazione non può più essere intesa come un percorso episodico di aggiornamento tecnico. Deve diventare parte di una trasformazione culturale che coinvolge l’intera organizzazione. AI fluency e immersive learning sono due facce della stessa medaglia: la prima rappresenta la nuova alfabetizzazione, la seconda il nuovo metodo con cui questa alfabetizzazione si costruisce.

Per le aziende, significa investire non solo in piattaforme e corsi, ma anche in modelli organizzativi e nuovi approcci che rendano naturale apprendere e sperimentare. Significa ripensare la formazione come un processo continuo, non come un evento. E soprattutto significa accettare che la vera competenza distintiva non sarà mai il singolo tool, ma la capacità di integrare tecnologia, cultura e valori.