Fino a poco tempo fa, fare ricerca di mercato significava avviare lunghi processi di raccolta dati, sondaggi, focus group, report, analisi statistiche, validazioni.
Strumenti potenti, sì, ma spesso lenti, costosi e soprattutto distanti dal contesto reale in cui le decisioni aziendali devono avvenire: dinamico, in continua evoluzione, saturo di segnali deboli e micro trend difficili da catturare in tempo reale.
Oggi, l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa – la Gen AI – sta riscrivendo questa grammatica. E non si tratta solo di un’accelerazione tecnologica. È un cambiamento di paradigma.
Dalla domanda alla conversazione
Uno dei cambiamenti più profondi introdotti dalla Gen AI riguarda il modo in cui si formulano le domande. In un approccio tradizionale, si definisce un’ipotesi, si costruisce un questionario o un modello, e si cercano risposte entro una cornice già strutturata. Con i modelli generativi, invece, le domande diventano conversazioni.
L’analista – o sempre più spesso anche il marketer, il product manager, l’HR o il CEO di un’azienda – può dialogare direttamente con l’AI, esplorare scenari, affinare intuizioni, seguire percorsi imprevisti. Si apre uno spazio nuovo, ibrido, tra analisi quantitativa e intuizione qualitativa.
Questo approccio, che come avviene in altri ambiti come il coding e gli analytics potremmo definire vibe research, non è alternativo ai metodi scientifici classici, ma li potenzia. È come se l’AI generativa permettesse di aggiungere una dimensione “di pancia” all’intelligenza analitica: un’intelligenza situata, sensibile al contesto, capace di cogliere sfumature linguistiche, toni emotivi, pattern ricorrenti nei contenuti online o nei commenti dei clienti.
Ricerche più rapide, più contestuali, più democratizzate
Con Gen AI oggi è possibile lanciare una ricerca esplorativa in pochi minuti, analizzando migliaia di recensioni, post social, articoli, sondaggi aperti, fonti pubbliche. I modelli possono generare sintesi, pattern, clusterizzazioni semantiche, sentiment analysis, suggerire insight o addirittura ipotizzare posizionamenti di brand emergenti.
Non è solo una questione di velocità però, ma anche di accessibilità. Un piccolo team di marketing può oggi condurre una ricerca preliminare, senza bisogno di attendere budget o interventi esterni. Un founder può esplorare un mercato adiacente dialogando direttamente con uno strumento AI. Un designer può testare in tempo reale il naming di un prodotto su community online sintetizzate in linguaggio naturale. Questo è un cambio di potere importante: la ricerca di mercato non è più una funzione centralizzata, ma una capacità diffusa.
L’effetto “zero-click” sulle ricerche: la scomparsa della frizione
Questo cambiamento nella ricerca interna si inserisce in un panorama più ampio di trasformazione della customer research esterna. Come abbiamo già esplorato nell’articolo dedicato all’era zero-click, oggi sempre più utenti si fermano direttamente ai risultati generati da AI nei motori di ricerca – come le AI Overviews di Google o le risposte sintetiche di ChatGPT – senza più cliccare sui link. Il traffico organico verso i siti web cala. Le interazioni avvengono dentro la pagina di ricerca stessa, o all’interno di un chatbot.
Questo significa che per chi fa ricerca, il comportamento dell’utente diventa molto meno osservabile attraverso gli strumenti classici (analytics, heatmap, clickstream). L’AI intermedia l’esperienza, offrendo risposte pre-compilate, filtri, sintesi che cambiano radicalmente il modo in cui le persone formano le proprie opinioni, scoprono un brand o selezionano un prodotto.
Non si tratta solo di un cambiamento tecnologico, ma epistemologico: stiamo perdendo l’accesso diretto al comportamento grezzo dell’utente e ci troviamo a dover studiare le “meta-interazioni”, ovvero come l’AI media e influenza le decisioni degli individui. Fare ricerche di mercato oggi significa quindi anche capire come un prodotto viene “raccontato” da ChatGPT, Gemini o Perplexity. Perché è lì che il consumatore si forma un’opinione.
Nuovi strumenti per nuove domande
Alcuni strumenti già disponibili permettono di analizzare l’AI come nuovo canale di discovery. Si possono monitorare le menzioni di brand nei modelli, analizzare come certe domande vengono formulate o quali fonti vengono citate come affidabili.
Alcuni team di marketing iniziano a trattare ChatGPT e simili come “motori di raccomandazione” da ottimizzare, come si fa con Amazon o TripAdvisor. Altri usano l’AI come proxy per testare esperienze di customer journey in ambienti sintetici.
Parallelamente, l’AI diventa anche un potente motore di simulazione: posso generare profili utente fittizi e vedere come reagiscono a diversi stimoli di comunicazione; posso costruire personas dinamiche; posso generare domande da usare nei focus group partendo da un dataset reale; posso creare sintesi di interviste o estrarre topic emergenti da migliaia di trascrizioni.
Il ruolo dei dati: meno survey, più listening
Uno degli effetti collaterali della Gen AI è la crisi dei sondaggi tradizionali. Le persone sono meno inclini a rispondere, i questionari online soffrono di dropout (abbandono) e i dati self-reported perdono di qualità. Dall’altra parte, l’enorme mole di contenuti generati ogni giorno (recensioni, post, commenti, ticket di supporto, chat aziendali, webinar, contenuti generati dagli utenti – UGC), offre una miniera di insight già pronta per essere letta, interpretata e clusterizzata.
L’AI generativa consente di fare social listening e customer listening su scala. E permette anche di ripescare dati già esistenti ma sottoutilizzati: verbatim di survey aperti, trascrizioni di meeting, feedback di onboarding, log di assistenza. Tutti dati non strutturati, che oggi possono essere sintetizzati in insight strategici. Il focus si sposta: dalla raccolta attiva al recupero e all’interpretazione intelligente.
Cosa cambia per le agenzie e i ricercatori
Le agenzie, le aziende e i professionisti che offrono ricerche di mercato dovranno ripensare i propri modelli. Non basterà più offrire report esaustivi, sarà necessario accompagnare i clienti in una co-esplorazione continua.
Una logica che è da sempre quella seguita dalla Independent design company Logotel, che dal 1993 accompagna organizzazioni e imprese a cogliere il senso delle trasformazioni e delle innovazioni.
L’area Research & exploration della design company, anche grazie a un network internazionale di esperti che si è allargato nel corso dei decenni di attività, esplora bisogni emergenti, indaga idee alternative e modellizza scenari interpretativi per lo sviluppo del business, della società e di un futuro migliorativo. Il supporto ai clienti e alle organizzazioni non si concretizza solo nell’aiutarle a prendere decisioni ed esplorare nuove opportunità su temi di frontiera proprio come l’AI , ma nel fornire una direzione e una cornice critica di senso.
I modelli generativi possono infatti produrre risultati in tempo reale, ma sempre più il vero valore della ricerca sarà nella capacità di porre le domande giuste, di scegliere i dati rilevanti, di contestualizzare gli insight. In un certo senso, la Gen AI riporta l’attenzione dal metodo al pensiero critico.
Anche il ruolo del ricercatore cambia: da produttore di dati a facilitatore di insight, da analista a storyteller, da tecnico a partner strategico. In questo contesto, le soft skill – come la capacità di sintesi, la curiosità esplorativa, l’empatia per il cliente finale – diventano fondamentali.
Verso una ricerca più generativa
In definitiva, la Gen AI apre una nuova stagione per la ricerca di mercato: più esplorativa, più accessibile, più tempestiva. Ma anche più complessa da governare, più fluida, meno definita nei suoi confini. I dati non vengono solo “letti”, ma dialogati. I risultati non sono più statici, ma dinamici. Le domande non cercano solo conferme, ma generano percorsi.
In questa nuova era, la sfida non sarà solo avere risposte più veloci, ma porre domande più intelligenti. E imparare a convivere con l’incertezza, l’ambiguità, la scoperta improvvisa. Come in ogni vero processo di ricerca.