L’intelligenza artificiale può essere a volte percepita come qualcosa di esterno all’organizzazione: uno strumento da consultare, un motore da attivare, un supporto per semplificare compiti ripetitivi. Ma la rapida evoluzione dei modelli linguistici generativi – come GPT-4 – ci pone oggi di fronte a un cambio di paradigma radicale. Non si tratta più di “usare” l’AI. Si tratta di lavorarci insieme.
Il passaggio chiave è proprio questo: da intelligenza artificiale come software, a GenAI come compagna di squadra. Una collega digitale con cui dialogare, collaborare, costruire. Una compagna di squadra non umana, ma straordinariamente utile, capace di aumentare non solo la produttività individuale, ma anche la qualità del lavoro di gruppo, dell’apprendimento e del processo decisionale.
In questo scenario, diventa essenziale ripensare le modalità di lavoro, i processi di performance management, i ruoli nei team e – soprattutto – il modo in cui le persone interagiscono con le tecnologie emergenti. Non serve solo adottare strumenti. Serve adottare una nuova mentalità.
L’AI come collega, non come tool
Le tecnologie generative non sono come gli strumenti del passato. Non sono fogli di calcolo, né software verticali. Sono sistemi conversazionali, capaci di comprendere il linguaggio naturale, analizzare grandi volumi di dati, generare testi, immagini, codice, piani di progetto o idee creative. Ma ciò che le rende davvero diverse è il modo in cui possiamo interagire con loro.
Ethan Mollick, professore associato alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, nel suo blog One useful thing scrive che la GenAI può e deve essere trattata come un teammate cibernetico. Non un semplice “assistente virtuale”, ma un’entità con cui dialogare, a cui spiegare problemi, da cui farsi sfidare, con cui co-costruire soluzioni.
Quando adottiamo questa prospettiva, cambia tutto. Non parliamo più di “prompt” ma di conversazioni. Non cerchiamo risposte predefinite, ma co-creazione. L’AI entra nei nostri flussi di lavoro quotidiani non come un servizio accessorio, ma come una presenza attiva, integrata, collaborativa.
L’impatto sulla performance individuale
Una delle aree dove l’adozione della GenAI sta già mostrando i suoi effetti più forti è la produttività personale. Scrivere, sintetizzare, tradurre, riformulare, pianificare, visualizzare: ogni professionista può oggi affidare una parte significativa del lavoro cognitivo alla GenAI, risparmiando tempo e aumentando la qualità.
Ma l’impatto non si ferma alla velocità. Quando l’AI viene usata in modo iterativo – come partner con cui ragionare, rivedere, esplorare alternative – essa stimola un pensiero più profondo, più articolato. Non si limita a produrre output. Aiuta le persone a pensare meglio.
Inoltre, riducendo il carico di compiti a basso valore, la GenAI libera tempo mentale per attività più strategiche: esplorazione, riflessione, collaborazione e creatività. E anche in quest’ultimo ambito, tradizionalmente considerato appannaggio degli esseri umani, la combinazione tra uomo e AI può sbloccare potenzialità infinite.
Perché questo funzioni, però, è necessario che le aziende abbandonino l’idea che “più output equivalgano a più performance” e inizino a misurare il valore dell’interazione con l’AI non solo in termini quantitativi, ma qualitativi: quanto migliora la comprensione di un problema? Quanto accelera l’apprendimento? Quanto aumenta la confidenza con una decisione?
Verso team ibridi: umani + AI
Se il lavoro individuale è già cambiato, quello di squadra è sul punto di trasformarsi radicalmente. La GenAI sta diventando un membro aggiuntivo nei team, capace di svolgere funzioni trasversali: dal suggerimento di idee per lo sviluppo di nuovi prodotti e/o servizi alla redazione di verbali, dal supporto alla scrittura di codici o presentazioni, fino alla facilitazione delle decisioni complesse.
In un team di progetto, per esempio, l’AI può supportare il leader nella creazione di roadmap, aiutare i designer nella generazione di concept, affiancare il marketing nella scrittura di contenuti, suggerire risposte basate su documentazione interna. È come avere un collega “multiskill” sempre disponibile, capace di lavorare su ogni tipo di task cognitivo.
L’impatto dell’AI nel lavoro di squadra
Ma qual è l’impatto concreto del lavoro di squadra tra AI e umani? Lo rivela un esperimento sul campo condotto all’interno della multinazionale Procter & Gamble, i cui risultati sono finiti in un working paper firmato da Mollick e altri ricercatori della Wharton School, dell’Harvard business school e della stessa multinazionale.
Ad oltre 700 professionisti di Procter & Gamble con più di 10 anni di esperienza in ambito commerciale e della Ricerca e sviluppo è stato chiesto di dividersi in gruppi e sviluppare idee per nuovi prodotti nelle diverse aree di P&G, da sottoporre poi al management dell’azienda.
Un primo gruppo era composto da singoli professionisti, aiutati da strumenti di AI generativa. Altri due gruppi, formati da uno specialista per ambito, sono stati suddivisi a metà tra team esclusivamente umani, e altri che hanno avuto accesso a strumenti di AI generativa come GPT-4 o GPT-4o.
Lo studio ha mostrato che, a livello di performance, i team misti uomo-AI hanno registrato i risultati migliori, con maggiori probabilità di produrre soluzioni di qualità e un risparmio di tempo del 12-16%.
Inoltre, nei team con accesso all’AI sono sfumate le divisioni in silo tra le diverse specializzazioni: le soluzioni suggerite da questi team si sono rivelate quelle più bilanciate tra prospettive tecniche e soluzioni più commerciali e di mercato.
L’ultima evidenza è l’impatto emotivo positivo registrato nei team che hanno utilizzato l’AI, con un aumento significativo delle emozioni positive e una riduzione di quelle negative, come ansia e frustrazione.
Ridefinire ruoli e aspettative per far funzionare il lavoro di squadra
Per far funzionare davvero il lavoro di squadra tra AI ed esseri umani, bisogna però ridefinire i ruoli e le aspettative. Chi decide cosa delegare alla GenAI? Come si verifica la qualità del suo contributo? Chi è responsabile dell’output finale? Come si integra l’interazione con l’AI nei rituali del team (riunioni, sprint, review)?
Queste domande non sono tecniche. Sono organizzative e culturali. E richiedono un ripensamento profondo del modo in cui progettiamo la collaborazione nei team del futuro.
Il prompting come nuova competenza soft
Interagire con un modello generativo non è un atto meccanico. È un’abilità comunicativa, quasi relazionale. Scrivere prompt efficaci significa saper contestualizzare un problema, chiarire obiettivi, offrire input e feedback, scomporre una sfida in passi logici.
In altre parole, il prompting diventa una soft skill trasversale e fondamentale. E come tutte le soft skill, non si insegna solo con un tutorial. Va allenata nel tempo, attraverso prove, errori e consapevolezza. I professionisti che imparano a “lavorare con l’AI” come con un collega empatico e razionale avranno un vantaggio competitivo enorme.
Le aziende, dal canto loro, devono iniziare a formare i team su come collaborare con la GenAI, non solo su come usarla. E devono farlo in modo trasversale, non relegando queste competenze a un dipartimento tecnico o di innovazione.
Diventa fondamentale, all’uopo, adottare approcci al training e all’adoption della GenAI che favoriscano la pratica, il confronto e il supporto continui, la possibilità di esercitarsi in un ambiente sicuro.
A tal proposito, si rivela molto efficace un approccio community-driven all’AI adoption, con la creazione di community di adozione che possono accelerare la diffusione di un mindset generativo all’interno di aziende e organizzazioni, come dimostra ad esempio il case study Dojo, community sviluppata dalla design company Logotel per Italgas.
Performance management nell’era della collaborazione aumentata
Il lavoro ibrido umano-AI richiede anche nuove modalità di valutazione delle performance. Se parte del lavoro viene svolto in collaborazione con un sistema generativo, allora bisogna capire che cosa valutare e come riconoscere il valore umano all’interno di un processo potenziato.
Per esempio, nel copywriting, ha ancora senso valutare la velocità di produzione testi? O è più utile osservare la capacità di dare feedback alla GenAI, di selezionare l’output più adatto, di orchestrare un flusso creativo multi-agente?
Lo stesso vale per il project management, l’analisi dati, la strategia. Le metriche tradizionali rischiano di essere parziali o fuorvianti. Serve una nuova grammatica della performance, in cui il valore umano non è tanto nella produzione manuale, ma nella capacità di guidare l’intelligenza artificiale verso risultati significativi, etici e sostenibili.
Rischi da evitare: solitudine, superficialità, delega cieca
Questo modello non è esente da rischi. Trattare la GenAI come un collega può portare a over-delegation, a una fiducia eccessiva o a una superficialità nel controllo dei contenuti. Oppure – al contrario – può generare isolamento, con professionisti che interagiscono più con modelli generativi che con altri esseri umani.
Per evitare questi estremi, è essenziale mantenere una supervisione umana attiva, definire ruoli e responsabilità, coltivare ambienti di collaborazione in cui l’AI è uno dei tanti attori. E soprattutto, continuare a sviluppare il pensiero critico, la capacità di validazione e la consapevolezza del contesto.
Il lavoro come collaborazione aumentata
Il lavoro del futuro non sarà né completamente umano né completamente automatizzato. Sarà collaborativo, aumentato, conversazionale. E in questo scenario, la GenAI rappresenta uno dei cambiamenti più profondi mai visti nei modelli organizzativi.
Non è solo una questione di efficienza. È una nuova forma di intelligenza collettiva, in cui uomini e macchine ragionano insieme, si confrontano, si arricchiscono reciprocamente. Perché questo accada, però, servono visione, competenze e nuovi paradigmi di performance.