Alberto Maestri è CEO di GreatPixel, società di brand transformation e comunicazione artificiale che supporta aziende, organizzazioni ed executive nei propri percorsi di customer centricity. Dirige dal 2016 la collana Professioni Digitali di FrancoAngeli ed è docente rispettivamente di digital strategy e brand purpose in NABA e IUSVE. È membro del consiglio direttivo di Adico, l’associazione che riunisce i manager del marketing e delle vendite in Italia.
I suoi attuali interessi e temi di ricerca riguardano i rapporti di collaborazione e competizione tra persone e macchine, le fusion skill come paradigma competitivo, l’AI mindset e la modern customer experience.
In questa intervista al magazine della Independent design company logotel, riflette su quali potrebbero essere le direzioni della trasformazione digitale e della coabitazione tra esseri umani e intelligenze artificiali.
Trasformazione digitale e AI: le persone restano al centro?
D. Un adagio ben radicato nel mondo della consulenza sostiene che la trasformazione digitale parte sempre dalle persone. Oggi, con la diffusione dell’intelligenza artificiale, questa certezza sembra essere a rischio: qual è la tua prospettiva?
Da sempre la trasformazione digitale capace di funzionare davvero ha messo al centro la persona, nell’obiettivo di abilitarla pienamente al mindset e agli strumenti per gestire il cambiamento tecnologico. In effetti, se come individui che abitano la società e le organizzazioni non capiamo la tecnologia o il valore che questa può portare difficilmente riusciremo a utilizzarla in modo efficace.
In tale contesto, l’intelligenza artificiale compie sia un balzo in avanti che un salto indietro.
Avanti, perché accelera enormemente i discorsi e le pratiche su cui – come manager, consulenti, esperti, analisti – studiamo e lavoriamo da tempo; indietro, perché proprio tale accelerazione rischia di perdere l’uomo e la sua centralità nei processi di decision making e delivery. Pensiamo ai movimenti che compiono gli Agenti AI, sistemi che utilizzano l’AI per eseguire compiti in modo autonomo per raggiungere obiettivi da noi prefissati.
Si è iniziato allora a parlare di human in the loop, diventato poi human on the loop: ovvero, della necessità di tenere proprio la persona all’interno dei processi e dei progetti AI, senza focalizzarsi eccessivamente (se non esclusivamente) sulla macchina.
A mio avviso, però, tale prospettiva non è ancora adeguata perché segue un approccio umano primariamente difensivo che mi ricorda tanto quelli che erano i primi corsi accademici di interazione uomo-macchina: ovvero una collaborazione necessaria anche se non sempre piacevole, una pillola da digerire per la persona, che trovandosi a collaborare forzatamente con la tecnologia evoluta non può fare altro che guardarsi alle spalle.
Un mio collega ha usato una metafora molto efficace per raccontare la nostra relazione oggi con l’AI, paragonandola a una conversazione in inglese tra persone non madrelingua: da un lato entrambe si comprendono e iniziano a interagire, dall’altro manca l’entroterra culturale e di conoscenza profonda che possa permettere loro di fare quel passo in più.
D. Quali sono allora le prospettive che suggerisci di seguire rispetto alla nuova co-abitazione tra persone e intelligenze artificiali, in azienda e non solo?
A mio avviso, come business leader e decision maker, i sentieri di lettura per comprendere meglio dove stiamo andando e definire la nostra strategia di engagement nei confronti dell’AI vanno in due direzioni – o meglio, possono essere riassunti da due keyword.
La prima è quella della tech empathy, rispetto a cui in Italia abbiamo un’efficace traduzione in empatia artificiale; la seconda keyword è comunicazione artificiale.
Cos’è l’empatia artificiale
D. Partiamo dalla prima: empatia artificiale suona quasi come un ossimoro.
Eppure sempre più entriamo non solo in conversazione, ma anche in riflessione (a volte, auto-riflessione) con l’intelligenza artificiale: pensiamo al diffuso utilizzo dei GPT per il nostro benessere mentale – l’AI Psychologist è un territorio prospettico di cui si parla da anni – o per la cura dei nostri cari con l’avvento dei chatbot conversazionali per tenere compagnia alle persone più senior attraverso dinamiche di digital caring.
Non dimentichiamo che, secondo i dati raccontati su Harvard Business Review rispetto a come abbiamo usato la Generative AI nel 2025, therapy & companionship sono i principali casi d’uso esplorati quest’anno.
Le grandi tech company cercano di rimarcare questi ruoli di buddy e companion nei confronti dei dipendenti e dei collaboratori già dai nomi delle loro soluzioni. Pensiamo al naming Copilot scelto da Microsoft per il proprio strumento. Tale rapporto collaborativo e di “comprensione” più profonda e culturale tra persone e macchine si sostanzia nell’interrogazione intelligente (intelligent interrogation), che implica sollecitare via prompting gli LLM in modi che essi producano “ragionamenti” e risultati significativamente migliori. In altre parole, è la capacità di pensare con l’intelligenza artificiale.
Comunicazione artificiale: le macchine diventano partner di comunicazione
D. Cosa si intende invece per comunicazione artificiale?
C’è una branca di ricerca interessante legata alla sociologia degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale – peraltro molto attiva anche in Italia con i lavori dei professori Elena Esposito, Massimo Airoldi e Mauro Ferraresi – che muove la possibile risposta alla domanda “dobbiamo essere in conflitto e avere paura delle macchine?” su un altro livello. Secondo tale prospettiva, le macchine contribuiscono all’intelligenza sociale diventando partner di comunicazione: una comunicazione artificiale.
D’altronde, la comunicazione non implica necessariamente uno scambio di informazioni e pensieri. Secondo il grande sociologo Niklas Luhmann, la comunicazione non condivide in realtà alcun pensiero; piuttosto, funziona quando qualcuno (o qualcosa) produce un output che diventa informativo per il suo interlocutore che – rielaborando – lo usa per i propri obiettivi e le proprie necessità.
La comunicazione che funziona diventa uno stimolo per produrre informazioni ed esperienze che non ci sarebbero state altrimenti. Da tale prospettiva, il fatto che la macchina e il suo funzionamento algoritmico siano una black box (un sistema i cui meccanismi interni non sono visibili o comprensibili dall’esterno, ndr) non ci deve bloccare: basta che essi reagiscano in modo pertinente e producano contenuti/risultati utili a noi.
Ex-perience: ripensare la customer experience nell’era AI
D. Nella tua prospettiva che impatti avrà questa nuova sinergia, collaborazione e co-creazione paritaria tra AI e human nell’approccio alla progettazione esperienziale (per esempio, rispetto alla customer experience e/o all’employee experience)?
Questa è una domanda importante che merita una riflessione in equilibrio tra pensiero e azione. Da tempo abbiamo affinato gli approcci e le metodologie legate all’esperienza utente-centrica: user-centered design, customer centricity, user research sono tutti termini che sottendono una cura affinché l’umano stia bene all’interno del flusso esperienziale.
A tendere, si immaginano approcci più neutrali all’esperienza, che si applichi a umani e non umani e che rompa la tradizionale separazione tra animato e non animato. Oggi l’esperienza non può essere privilegio di una sola classe di attori (quelli umani), ma deve essere ri-concettualizzata. Va superata un’esperienza implicante esclusivamente l’umano, oggetto-centrica e corpo-centrica. Cosimo Accoto, amico e Fellow del MIT (Massachussetts Institute of Technology) di Boston, l’ha pertanto battezzata ex-perience.
Sembra futuristico, a tratti utopico (o distopico?) ma in realtà è già così: pensiamo all’impatto dell’AI Mode e dell’uso della Generative AI sulle ricerche di Google. Una volta che otteniamo la risposta dal nostro AI Assistant, spesso ci basta e non approfondiamo ulteriormente i link messi a disposizione dal motore di ricerca. Una riflessione di Wired pone allora un quesito e apre a un’idea di web experience ben diversa da quella che abbiamo conosciuto finora. Che cosa succederebbe se giornalisti, comunicatori, blogger, creator e tutte le altre figure che hanno contribuito a popolare di contenuti il web vedessero crollare le visite alle loro pagine web e di conseguenza i click sulle pubblicità che, in molti casi, rappresentano la fonte d’introiti?
Con il diffondersi dei Large Language Model il web potrebbe addirittura scomparire. O meglio, potrebbe recedere sullo sfondo, diventare a noi invisibile ed essere frequentato solo dalle intelligenze artificiali. La nostra esperienza – e il modo in cui le pagine web vengono progettate – muterebbe radicalmente: i modelli come ChatGPT o AI Mode diventerebbero l’unica interfaccia attraverso cui facciamo esperienza del web, mentre quest’ultimo si trasformerebbe in una sorta di sottostrato digitale. È uno scenario che la BBC ha battezzato Machine web: una rete in cui i siti sono progettati per essere letti dalle macchine, non dagli utenti, e dove l’unico modo di consumare informazione è attraverso i riassunti e i “rimasticamenti” dell’intelligenza artificiale.
F.A.Q. – In sintesi
Chi è Alberto Maestri? Alberto Maestri è CEO di GreatPixel, società di brand transformation e comunicazione artificiale. Docente di digital strategy presso NABA e IUSVE, dirige dal 2016 la collana Professioni Digitali di FrancoAngeli ed è membro del consiglio direttivo di Adico, l’associazione dei manager del marketing e delle vendite in Italia. Si occupa di fusion skill, AI mindset e modern customer experience.
Cos’è l’empatia artificiale? L’empatia artificiale (o tech empathy) è la capacità di entrare in relazione profonda con l’intelligenza artificiale, andando oltre la semplice interazione funzionale per creare una comprensione reciproca e collaborativa.
Cosa significa human in the loop? Human in the loop indica la presenza della persona all’interno dei processi decisionali dell’AI. L’evoluzione human on the loop enfatizza un ruolo di supervisione più che di partecipazione diretta.
Che cos’è la comunicazione artificiale? La comunicazione artificiale considera le macchine come partner di comunicazione che contribuiscono all’intelligenza sociale, producendo output informativi utili indipendentemente dalla comprensione dei loro meccanismi interni.
Cosa si intende per machine web? Il Machine Web è uno scenario futuro in cui i siti web sono progettati per essere letti dalle AI anziché dagli utenti umani, con l’informazione mediata esclusivamente da assistenti artificiali come ChatGPT.