Gen AI, Multimodal AI, Embodied AI: il futuro dell’intelligenza artificiale nelle aziende
Dall’AI che genera contenuti a quella che abita gli spazi fisici: come le aziende devono prepararsi alla rivoluzione dell’AI multimodale ed embodied.

Dall’AI che genera contenuti a quella che abita gli spazi fisici: come le aziende devono prepararsi alla rivoluzione dell’AI multimodale ed embodied.
Il presente dell’intelligenza artificiale lo conosciamo. È quella che ci aiuta a scrivere più velocemente, a riassumere riunioni, a generare immagini partendo da una descrizione. La usiamo per creare, automatizzare, pensare più in fretta.
Ma mentre ci abituiamo a collaborare con questa nuova compagna di squadra e di lavoro, qualcosa si sta già muovendo oltre i nostri schermi. L’AI sta cambiando pelle. Diventa multimodale, sensibile a linguaggi diversi. E soprattutto, prende corpo. Si “incarna” in oggetti, spazi, dispositivi. Inizia a vivere nei luoghi e nelle esperienze. E a noi tocca imparare a riconoscerla, accoglierla, guidarla.
La Generative AI è stata il grande acceleratore. Non solo perché ha reso visibile e concreta una tecnologia prima astratta, ma perché ha cambiato il nostro modo di lavorare. Non automatizza e basta: genera contenuti, connette idee, suggerisce azioni. In azienda, diventa motore di trasformazione nei processi di progettazione, customer care, formazione, comunicazione interna. E allo stesso tempo apre nuove domande: chi decide cosa è “giusto”? Come si governa un output generato da un sistema che lavora con probabilità, non con certezze? Come si affianca il lavoro umano a quello della macchina, senza perdere senso e direzione? Come si ridefinisce la creatività nell’era dell’AI?
La nuova frontiera è già iniziata, e parla il linguaggio della multimodalità. L’intelligenza artificiale non si limita più a comprendere testo, ma combina immagini, voce, video, gesti. Un assistente digitale può leggere una fotografia e trasformarla in un’analisi. Un sistema può rispondere a un comando vocale e agire su più ambienti contemporaneamente. Tutto diventa più fluido, più naturale, più simile a una conversazione tra persone.
Nella pratica aziendale, questo significa ridurre le barriere d’uso e creare strumenti più accessibili. Ma significa anche ridefinire l’esperienza di lavoro: non interagiamo più con un software, ma con un’interfaccia intelligente che ascolta, osserva, comprende.
L’evoluzione più radicale, però, è quella che stiamo appena iniziando a vedere. L’AI esce dal digitale e si integra nel fisico. Entra negli oggetti, negli ambienti, nelle interazioni quotidiane. È l’era dell’Embodied AI.
Non serve più attivarla da uno schermo: è lì, nello spazio che abitiamo. Un paio di occhiali intelligenti interpreta il contesto e suggerisce azioni. Un’automobile apprende le abitudini del conducente e propone mete, ristoranti, attività. Un museo modifica la musica in cuffia in base alle opere che stai guardando e alle emozioni che esprimi.
Secondo il report The Embodied AI Era di TrendWatching, società di ricerca specializzata nell’analisi delle tendenze globali di consumo, questa trasformazione è già in corso. E non riguarda solo i giganti tech: startup, musei, città stanno sperimentando con l’idea di un’intelligenza che accompagna la vita reale, senza chiedere attenzione.
Quando l’intelligenza entra negli ambienti, cambia il modo in cui li viviamo. Le case iniziano a rispondere al nostro stato d’animo. Gli spazi di lavoro si adattano alle nostre esigenze cognitive. I dispositivi wearable diventano strumenti per monitorare e anticipare segnali fisiologici o emotivi.
Non si tratta più solo di efficienza, ma di relazione. Gli spazi diventano partner attivi nella nostra esperienza. Ma tutto questo richiede nuove regole. Bisogna garantire trasparenza, tutela dei dati, rispetto della persona. Serve un equilibrio sottile tra intelligenza e privacy, tra suggerimento e invasione. E le aziende dovranno attrezzarsi per progettare esperienze che siano intelligenti, sì, ma anche accettabili, sostenibili, umane.
Nel futuro prossimo, le aziende si troveranno a navigare tra tre approcci diversi all’intelligenza artificiale:
Non si tratta di scegliere un modello, ma di capire in quale contesto usare ciascuno di essi. E soprattutto, come integrarli in modo coerente nella cultura aziendale.
Se la Generative AI ha rivoluzionato il modo in cui scriviamo, la Multimodal AI sta cambiando il modo in cui comunichiamo. E con l’Embodied AI, stiamo iniziando a ripensare il modo in cui viviamo gli spazi e gli oggetti intorno a noi. Ma alla base di tutto questo non c’è solo una questione tecnica.
C’è una questione di senso. Quello che molte aziende hanno smarrito ma che, come ricorda il CEO di Logotel, Nicola Favini, in un articolo pubblicato per Weconomy, progetto di ricerca open source della Independent design company, “non è solo il perché che differenzia, ma l’anima che muove e attiva”.
Le aziende dovranno farsi carico non solo di integrare strumenti intelligenti, ma di progettare esperienze che abbiano un impatto positivo e duraturo. Servirà formazione, visione, governance. Servirà soprattutto una domanda guida: come possiamo usare l’AI per creare valore reale e sostenibile per persone e comunità?
Il futuro dell’AU non è scritto negli algoritmi, né nei prodotti. È scritto nelle scelte che facciamo oggi: su come usiamo la tecnologia, su come formiamo le persone, su come costruiamo fiducia.
Non si tratta di rincorrere ogni innovazione, ma di saperle leggere nel loro potenziale trasformativo. Di capire dove ha senso sperimentare, dove ha senso integrare, dove ha senso aspettare. Perché alla fine, il punto non è essere tecnologicamente avanzati. È essere culturalmente pronti.