Ambiziosi, ma insicuri. Entusiasti dell’intelligenza artificiale, ma anche preoccupati per i suoi impatti sull’occupazione. Orientati sugli obiettivi a lungo termine, ma pronti a cambiare azienda dopo appena un anno.
Sono i ragazzi e le ragazze della Generazione Z, fascia demografica che comprende chi è nato tra la metà degli anni Novanta e il 2010.
Uno dei report più recenti che fotografa aspettative, bisogni, motivazioni e contraddizioni di questa generazione nel suo rapporto con il lavoro è stato pubblicato da Randstad, la multinazionale olandese che si occupa di ricerca, selezione e formazione del personale.
Si intitola Randstad workmonitor pulse 2025 e si basa su un survey fatto a 11.250 talenti e sull’analisi di oltre 126 milioni di annunci di lavoro a livello globale.
Comprendere cosa cerca la Gen Z sul lavoro è importante per diverse ragioni.
In primo luogo, già adesso le ragazze e i ragazzi di questa fascia d’età rappresentano il 23% della forza lavoro globale. Una percentuale che nel 2030, secondo un’altra ricerca della società Manpower, salirà fino a circa il 33%.
Questi giovani, come mai avvenuto prima nella storia, si confrontano in azienda con almeno altre quattro generazioni – almeno secondo le convenzioni demografiche per cui una nuova generazione nasce ogni 15-18 anni.
Capire aspettative, valori, esigenze della Gen Z – così come delle altre generazioni – è dunque fondamentale per creare dinamiche intergenerazionali positive improntate alla collaborazione più che allo scontro, garantendo la trasmissione del know-how e della cultura aziendale tra generazioni diverse.
In questo articolo evidenziamo allora quali sono i principali insight del Randstad workmonitor pulse 2025 e quali strategie possono attuare aziende e organizzazioni per attrarre e trattenere la Gen Z.
Gli insight del Randstad Workmonitor pulse
Il rapporto tra la Generazione Z e il lavoro è tutto fuorché lineare. Se dovessimo racchiudere in un solo termine ciò che racconta il Randstad Workmonitor pulse 2025, potremmo usare senza problemi l’aggettivo contradditorio. È con questa premessa che analizziamo i principali insight del report.
Sempre meno ruoli entry level (Jobpocalypse) e mancanza di fiducia
La Gen Z si sta affacciando nel mondo del lavoro in un momento di profonde trasformazioni. La diffusione dell’intelligenza artificiale sta riscrivendo il significato stesso di lavoro, e secondo alcuni studi l’automatizzazione sta contribuendo a quella che viene definita la Jobpocalypse, cioè la progressiva riduzione delle posizioni lavorative entry-level.
È una tendenza segnalata anche dal report Randstad, che analizzando milioni di annunci di lavoro a livello globale evidenzia come, da gennaio 2024, le offerte di lavoro entry-level siano diminuite del 29%, con cali in quasi tutti i settori tranne quello sanitario.
L’incertezza del contesto lavorativo influisce anche sulla fiducia.
Il 41% della Gen Z afferma di non avere la sicurezza necessaria per trovare un altro lavoro – la percentuale più alta tra tutte le generazioni intervistate. Le preoccupazioni non sono legate solo alle minori opportunità entry-level, ma anche a considerazioni legate al livello di istruzione o al background personale – ad esempio, circostanze famigliari – che vengono viste come ostacoli all’ottenimento del lavoro dei propri sogni.
È per questo che, nonostante la Gen Z sia ambiziosa, molti giovani scendono a compromessi: il 44%, la percentuale più alta tra tutte le generazioni, afferma che il proprio ruolo attuale non rispecchia la carriera dei propri sogni, e oltre un terzo (37%) si pente già della scelta del settore.
La Gen Z è quella con la permanenza media più bassa in azienda
Il mix tra ambizione e incertezza si riflette sulla stabilità lavorativa e sulla “fedeltà” aziendale. La Gen Z è quella con la permanenza media in azienda più bassa tra le altre fasce demografiche: 1,1 anni nei primi cinque anni di carriera rispetto a 1,8 per i Millennial, 2,8 per la Generazione X e 2,9 per i Baby Boomer. Il tasso di abbandono negli ultimi 12 mesi è stato del 22%, il più alto di tutte le generazioni.
E anche rispetto alle scelte future, più della metà degli intervistati (54%) tra la Gen Z afferma di essere attivamente alla ricerca di lavoro, uno su tre prevede di lasciare il proprio ruolo attuale entro un anno e solo l’11% afferma di voler rimanere a lungo termine. Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, la percentuale dei giovani che prevedono di rimanere nell’azienda in cui lavorano al massimo per un anno è del 37%, mentre appena il 17% prevede di rimanerci per sempre.
Proprio l’attenzione al futuro caratterizza un’altra delle contraddizioni evidenziate nel report. Infatti, nonostante i Gen Z siano i più propensi a cambiare azienda, sono anche la generazione più propensa a considerare i propri obiettivi di carriera a lungo termine quando si cerca un nuovo ruolo. Un dato che, considerando il fattore anagrafico, non è comunque del tutto inaspettato.
Il rapporto tra Gen Z e intelligenza artificiale
Contraddittorio è anche il rapporto tra la Gen Z e l’intelligenza artificiale. I nati tra il 1997 e il 2010 sono coloro che utilizzano di più l’AI sul lavoro (55%, in aumento rispetto al dato del 48% dello scorso anno) e che la utilizzano di più per formarsi – lo fa il 75%, contro il 71% dei Millennial, il 56% della Gen X e il 49% dei baby boomer.
Sono anche tra i più entusiasti del potenziale dell’AI, secondi solo ai Millennial. Ma, al tempo stesso, il 46% della Gen Z è preoccupata per l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla propria carriera, un dato in aumento rispetto al 40% dell’anno scorso.
Cosa cerca la Gen Z sul lavoro
Ma cosa cerca la Gen Z sul lavoro? Quali elementi la motivano e inducono chi appartiene a questa generazione a scegliere un’azienda?
Il report di Randstad individua alcuni elementi principali: oltre alla progressione di carriera di cui abbiamo già scritto sopra, la Gen Z cerca una retribuzione migliore, orari di lavoro flessibili, equità e salute mentale.
Sono tutti elementi che, ovviamente, valgono sia in logica di attraction sia di retention. Se ci sono, diventano magneti per attrarre i giovani. Ma se mancano o sono deficitari, diventano leve che spingono i giovani a guardare altrove.
Particolarmente significativa è l’importanza che i giovani danno agli obiettivi di carriera a lungo termine. Rispetto alle altre generazioni, la Gen Z è quella più propensa (41%) a considerare “sempre” questo elemento quando prendono decisioni relative a un cambio di lavoro.
Anche per questo motivo si stanno orientando verso settori in rapida crescita come l’informatica, la sanità e i servizi finanziari, che più di altri possono garantire il soddisfacimento delle loro aspettative di carriera.
Se i settori preferiti sono per lo più quelli a più alto valore tecnologico, sulla tipologia di lavoro il report fotografa un altro importante scostamento rispetto alle altre generazioni. Solo il 24% degli intervistati della Generazione Z punta a un lavoro a tempo pieno, una percentuale decisamente inferiore rispetto alle generazioni più anziane. Le risposte della Gen Z mostrano l’ascesa di modalità lavorative diverse: il 31% di chi già lavora a tempo pieno preferirebbe combinare il suo attuale ruolo con un’attività secondaria, come un secondo lavoro come tutor, nel settore alberghiero o nella vendita di beni online.
Strategie per le aziende
Cosa possono fare allora aziende e organizzazioni per attrarre e trattenere la Gen Z? La chiave è una: destreggiarsi tra i paradossi e le contraddizioni evidenziati dal report, adottando un approccio collaborativo.
Randstad suggerisce una strategia suddivisa in 4 azioni:
- Offrire percorsi di carriera chiari, con ricompense regolari e tangibili in termini di aumenti di stipendio o benefit, in modo da infondere fiducia nel fatto che la loro organizzazione è un luogo in cui i talenti della Generazione Z possono crescere per il futuro.
- Ridefinire i ruoli entry-level, allontanandoli da compiti semplici e puntando sullo sviluppo di competenze quali il pensiero critico e la creatività.
- Offrire opportunità di formazione pratica, tecnologicamente avanzate e incentrate sul digitale, compreso l’uso di strumenti di AI, per creare una continuità tra le abitudini della Gen Z a scuola e nella vita personale e l’esperienza di apprendimento sul lavoro.
- Creare una cultura che accresca la fiducia e la lealtà della Gen Z e li aiuti a superare le proprie insicurezze, contribuendo a creare una forza lavoro preparata per il futuro.
Ripensare la collaborazione tra generazioni
Oltre a queste strategie, più operative, serve però un cambio di prospettiva che guardi oltre la Gen Z: occorre ripensare la collaborazione tra generazioni diverse.
Come sottolinea l’Independent design company Logotel, le generazioni non sono categorie statiche, ma una materia viva e dinamica, in continuo cambiamento. E la vita, come spiega l’antropologo inglese Tim Ingold, si forma nella collaborazione tra generazioni, che non si impilano una sull’altra, ma si intrecciano come i fili di una corda.
Il nostro modo di vedere è influenzato dai nostri pregiudizi, spesso in modo inconsapevole. Per questo è fondamentale aumentare la capacità di osservazione, allenare la sensibilità e superare gli stereotipi e i cliché generazionali.
Solo capendo i punti in comune e di distanza tra generazioni si genera quell’empatia che è alla base di una relazione e una collaborazione efficace tra le diverse generazioni presenti in azienda. Solo in questa maniera si potrà instaurare un dialogo generazionale positivo e di impatto per la Gen Z, così come per le altre generazioni che coesistono all’interno delle aziende.
Riflessioni conclusive
La Generazione Z non rappresenta una sfida da gestire, ma un’opportunità da cogliere. I dati del Randstad Workmonitor pulse 2025 fotografano una generazione che entra nel mondo del lavoro in un momento di profonda trasformazione, dove l’intelligenza artificiale ridisegna ruoli e competenze e i percorsi di carriera tradizionali lasciano spazio a traiettorie più fluide e personalizzate.
Le contraddizioni che caratterizzano questa generazione – ambiziosi ma insicuri, orientati al lungo termine ma con permanenze brevissime in azienda, entusiasti della tecnologia ma preoccupati per i suoi effetti – non sono debolezze, ma segnali di un adattamento pragmatico a un contesto lavorativo in rapida evoluzione.
Per le aziende, questo significa ripensare profondamente le strategie di attraction e retention, andando oltre le soluzioni standardizzate. Occorre offrire percorsi di carriera chiari e tangibili, ridefinire i ruoli entry-level valorizzando pensiero critico e creatività, investire in formazione digitale e creare una cultura organizzativa che generi fiducia e senso di appartenenza.
La Gen Z, con la sua competenza digitale, la sua ambizione e la sua capacità di adattamento, può diventare il motore dell’innovazione aziendale. A patto che le organizzazioni sappiano creare le condizioni per far fiorire questo potenziale, trasformando le contraddizioni in opportunità di crescita reciproca.