Geopolitica digitale: aziende e organizzazioni nella competizione digitale globale. Intervista ad Antonio Deruda

Intervista ad Antonio Deruda, esperto di geopolitica digitale. Un focus sulla competizione globale per il controllo della Rete e delle infrastrutture digitali e consigli su come aziende e organizzazioni possono orientarsi in un contesto sempre più frammentato.

Intervista ad Antonio Deruda, esperto di geopolitica digitale

Antonio Deruda è un saggista, docente e consulente con 20 anni di esperienza professionale. Ha coordinato la comunicazione digitale della Presidenza italiana del G7 presso l’Ufficio Sherpa della Presidenza del Consiglio nel 2024 e nel 2017 e ha ricoperto lo stesso ruolo in occasione del G20 nel 2021.

Da sempre affascinato dall’intersezione tra nuove tecnologie e relazioni internazionali, ha scritto il libro Geopolitica digitale, edito da Carocci. Le altre sue opere sono Diplomazia Digitale e The Digital Diplomacy Handbook.

Insegna in vari master presso numerose università e centri di formazione, come la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, la Luiss Business School, la SIOI, l’Academy dell’ICE, la 24Ore Business School e il Centro di Formazione delle Nazioni Unite di Torino.

TedX speaker, collabora anche con l’ISPI, per cui ha curato tra gli altri un interessante longform sul futuro dei dati.   

In questa intervista al magazine di logotel, rilasciata a margine di uno speech tenuto nella sede milanese della independent design company, spiega cosa si intende per geopolitica digitale, perché il controllo della Rete è destinato ad assumere una crescente importanza nel futuro e anche quali sono le possibili ripercussioni per aziende e organizzazioni: come orientarsi in un contesto sempre più frammentato e come poter sviluppare resilienza rispetto a crisi (e guerre) digitali. 

Perché il digitale è più fisico di quanto sembri

D. Siamo abituati a pensare alla geopolitica secondo categorie tradizionali: le dinamiche e sfere di influenza che si creano tra Stati rispetto al controllo di spazi e risorse per lo più fisiche. Il digitale – internet, i dati, l’intelligenza artificiale, le telecomunicazioni – invece, è per lo più visto come qualcosa di etereo. Eppure nel suo libro Geopolitica digitale lei spiega bene che così non è. Perché il digitale è più fisico di ciò che sembra e perché dunque ha senso parlare anche di una geopolitica digitale?

L’immagine di Internet come qualcosa di etereo è fuorviante. Il digitale vive su infrastrutture fisiche molto concrete: cavi sottomarini, data center, satelliti, reti elettriche. È una rete materiale che condiziona sicurezza, potere ed economia. Gli Stati cercano di controllarne i punti nevralgici, le grandi aziende li costruiscono e li gestiscono, e la nostra vita quotidiana dipende da questi corridoi come da porti o gasdotti. La geopolitica digitale nasce proprio da qui: dal fatto che il potere globale passa sempre più attraverso il controllo dei flussi di dati.

I cavi sottomarini: l’infrastruttura invisibile che governa il mondo

D. Leggendo i media, almeno quelli mainstream, sembra che il digitale passi per lo più dallo spazio, con i satelliti: basti pensare alla copertura di cui godono le operazioni dell’azienda Starlink di Elon Musk. E invece, come lei spesso ha detto nei suoi interventi, è “chi controlla i cavi” che “controlla il mondo”. Come mai non è un’informazione così diffusa? E quali sono i principali player che controllano questo settore?

I satelliti affascinano perché hanno maggiore rilevanza mediatica, mentre i cavi sottomarini sono invisibili. Eppure è in quei cavi che passa oltre il 95% del traffico Internet internazionale: finanza, servizi cloud, comunicazioni critiche. Sono l’infrastruttura più strategica e al tempo stesso meno conosciuta. A controllarla sono in gran parte i grandi attori digitali globali –  Google, Meta, Amazon, Microsoft – che gestiscono una parte crescente delle dorsali di rete e una porzione significativa del potere informativo ed economico mondiale.

Le dimensioni della competizione digitale globale

D. Su quali dimensioni si gioca e si giocherà la competizione globale per il controllo della Rete e della sfera digitale?

La competizione si muove allo stesso tempo sulle infrastrutture, sulle regole e sui contenuti. Conta chi costruisce cavi e data center, chi stabilisce gli standard su privacy, dati e intelligenza artificiale, chi gestisce piattaforme capaci di raccogliere informazioni e modellare opinioni. È un confronto che coinvolge fisicità, tecnologia e narrativa: e proprio questo intreccio fa del digitale un campo di battaglia strategico.

D. Rispetto ad alcune delle crisi geopolitiche in corso (Ucraina, Palestina), potrebbe fare qualche esempio che faccia comprendere l’importanza della sfera digitale a livello militare?

In Ucraina la connettività ha permesso di coordinare operazioni e proteggere infrastrutture vitali, mentre droni e algoritmi hanno trasformato il modo di osservare e colpire il nemico. In Medio Oriente la sorveglianza digitale, il riconoscimento facciale e sistemi di IA che generano liste di obiettivi rivelano un uso del digitale che plasma direttamente il conflitto sul terreno. Dalle pianure ucraine e dalle macerie di Gaza sono arrivate agli analisti militari tante indicazioni su come si combatteranno le guerre del futuro.

D. Uno dei messaggi più importanti che emergono dal suo libro è che l’idea che Internet sia una rete universale e senza confini sembra ormai solo un’utopia. La realtà ci racconta di un web che rischia di essere sempre più frammentato e che è ormai un terreno di conquista dove governi e aziende si sfidano – a colpi di alleanze, acquisizioni, veti incrociati – per il controllo delle infrastrutture e, più indirettamente, dei dati che passano da quelle infrastrutture. Quali sono i possibili scenari futuri di questa competizione?

L’idea di un’unica Internet globale si sta sgretolando. Le tensioni geopolitiche portano Stati e regioni a costruire ecosistemi separati, con regole differenti e restrizioni ai flussi di dati. Il risultato potrebbe essere un mondo digitale a blocchi, quello che viene definita la Splinternet. Abbiamo abbattuto i muri fisici, rimpiazzandoli con muri virtuali. Difficile al momento ipotizzare uno scenario più ottimistico basato su accordi e standard comuni per proteggere la Rete come un bene comune dell’umanità.

Aziende e organizzazioni nella geopolitica digitale: come sviluppare resilienza

D. All’interno di questa situazione frammentata e incerta si trovano ad operare anche aziende e organizzazioni, strette tra Stati e organizzazioni sovranazionali, con le loro regole, e i colossi tecnologici da cui dipendono per poter produrre, innovare – pensiamo ai servizi cloud e all’intelligenza artificiale – e, in un certo senso, esistere. Come possono aziende e organizzazioni orientarsi e navigare in questa frammentazione e incertezza? Possono avere un ruolo attivo nello scacchiere della geopolitica, tradizionale e digitale? E ci sono azioni che possono attuare per sviluppare resilienza?

Le imprese sono immerse nella geopolitica digitale, la loro attività dipende da infrastrutture e piattaforme di fornitori globali. Per muoversi in questo contesto servono consapevolezza e preparazione: conoscere le proprie vulnerabilità, capire dove scorrono i dati, quali fornitori sono più esposti e creare alternative operative. Non basta rispettare le regole: occorre anticiparle e progettare soluzioni capaci di adattarsi.

D. Secondo il World Economic Forum, il rischio geopolitico è diventato una delle variabili più critiche per la continuità del business. In un articolo apparso sul sito del WEF si parla della necessità di creare una nuova figura C-level: il Chief geopolitical officer. Quali competenze dovrebbe avere o sviluppare un CGO, ma anche un CEO, per poter affrontare le sfide legate all’attuale contesto geopolitico?

Il rischio geopolitico è ormai una componente del business. Che si tratti di un CGO o di un’altra funzione, serve senza dubbio qualcuno capace di tradurre le dinamiche globali in impatti concreti su investimenti, supply chain e gestione dei dati. È un ruolo che richiede conoscenza del contesto internazionale, comprensione delle tendenze tecnologiche e capacità di collegare questi fattori alle decisioni aziendali.

Rendere visibile l’invisibile: aumentare la consapevolezza sulle infrastrutture digitali

D. Il suo libro porta alla luce tante dinamiche un po’ nascoste, evidenziando l’importanza anche di ciò che è invisibile, come i cavi sottomarini. Riflettere su ciò che c’è dietro tecnologie da cui ormai dipende la nostra vita quotidiana e lavorativa è fondamentale, ma non sembra esserci ancora molta consapevolezza sul tema. Cosa si può fare per aumentarla?

Per cambiare questa percezione occorre raccontare meglio la Rete: dati, storie, casi reali che mostrano cosa accade quando un cavo si interrompe, un data center va offline o una piattaforma viene bloccata da uno scontro normativo. La consapevolezza cresce quando riusciamo a visualizzare ciò che non vediamo: mappe dei cavi e dei punti di interscambio, grafici che mostrano come circolano i dati, simulazioni che rendono tangibile l’impatto di un’interruzione. Serve portare questi temi nei percorsi di formazione e nelle aziende.