Le caratteristiche essenziali della leadership nell’era dell’AI

Dal coraggio alla playfulness, dalla sperimentazione all’etica. La leadership AI richiede nuovi tratti, ma è solo il primo passo per guidare con efficacia la trasformazione AI delle organizzazioni.

Nell’era dell’intelligenza artificiale, i leader aziendali si trovano di fronte a una sfida senza precedenti: devono sviluppare nuove competenze, adottare mindset innovativi e ripensare radicalmente il modo di organizzare il lavoro.

Sono diversi i libri e gli articoli, pubblicati da esperti di leadership e su autorevoli riviste di settore, che propongono “ricette” che i leader possono seguire per diventare AI ready e guidare, in modo più efficace, la trasformazione della propria azienda.  

In questo articolo, però, vogliamo concentrarci più che sulle competenze, su alcuni tratti caratteriali e attitudinali che i leader dovrebbero avere per guidare la trasformazione aziendale nell’era dell’AI, sottolineando anche che una leadership preparata al cambiamento è solo il primo passo per “far funzionare” davvero l’AI, come suggerisce un recente articolo pubblicato da Ethan Mollick.

Le tre leve per iniziare a guidare la trasformazione

Come scritto in un altro articolo del nostro magazine sul tema, prima di elencare i tratti richiesti ai leader è utile inquadrare le principali sfide che devono affrontare. Da un lato, devono capire e utilizzare l’AI, dall’altro devono guidare il cambiamento.

Un’affermazione che trova conferma in quanto Alessandra Lazazzara, professoressa associata di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università degli Studi di Milano, ha detto in un’intervista alla MIT Sloan Management Review Italia.

Secondo Lazazzara, i leader chiamati a guidare la trasformazione AI delle proprie aziende si confrontano con due macro ordini di problemi.

Da un lato, devono essere in grado di utilizzare l’AI: questo significa che devono possedere una conoscenza tecnica di base su algoritmi e dati, sulle logiche di funzionamento dei tool di intelligenza artificiale.

Dall’altro lato, è necessaria un’accettazione consapevole dell’AI: i leader devono comprenderne il valore d’uso per la propria organizzazione.  

Per agire in entrambe le direzioni Lazazzara individua tre leve:

  • sviluppare consapevolezza, attraverso un’alfabetizzazione tecnica minima, ma essenziale;
  • mantenere un’attitudine critica, continuando a interrogare gli output dell’AI attraverso le domande giuste e contestualizzando i dati;
  • ricercare il giusto equilibrio, imparando a discernere quando seguire i suggerimenti e gli insight dell’AI e quando equilibrarli o controbilanciarli affidandosi al giudizio umano.

I tratti essenziali per i leader nell’era dell’AI

Consapevolezza, spirito critico ed equilibrio possono dunque essere considerati tre caratteristiche di base che i leader devono avere per preparare il terreno alla trasformazione AI-driven della loro azienda. Ve ne sono però altre, se vogliamo un po’ più fuori dagli schemi, in parte emerse durante uno degli eventi più importanti a livello globale per CIO (Chief information officer) e dirigenti del digitale. Vediamole di seguito.

Coraggio di ripensare i processi

Partiamo dal coraggio, suggerito da Monica Caldas, CIO di Liberty Mutual Insurance, tra le più grandi compagnie assicurative mondiali, e vincitrice del prestigioso premio MIT Sloan CIO Leadership Award 2025. In occasione della conferenza che l’ha incoronata, Caldas ha sottolineato come il coraggio sia un tratto fondamentale per i leader in questo punto di svolta.

Il coraggio è necessario per affrontare la trasformazione in corso, gestire il cambiamento e superare le proprie convinzioni preesistenti su come le cose dovrebbero funzionare. Implica la capacità di reimmaginare il possibile e quella di abbandonare pratiche che, anche se funzionano bene oggi, potrebbero non essere ottimali in un futuro abilitato dall’AI.

Mentalità sperimentale e playfulness

Anche la capacità di giocare e sperimentare, definita playfulness, è emersa come un altro tratto essenziale per la leadership AI. Si tratta dell’abilità di riconoscere che, in un territorio inesplorato e non mappato, come ricorda anche Timothy Tiryaki nel suo modello FLUX, l’apprendimento passa attraverso tentativi ed errori.

A evidenziare questo tratto è stata Melissa Swift, esperta di leadership e organizzazioni con un passato in Mercer e attualmente SEO di Anthrome Insight.

Caratteristiche di questa mentalità esplorativa sono la tendenza a privilegiare test rapidi e iterazioni veloci rispetto a lunghe fasi di analisi, la capacità di celebrare i fallimenti utili, perché ogni esperimento che non funziona insegna comunque qualcosa di prezioso, e anche la capacità di concedere del tempo per la sperimentazione.

Spetta alle singole realtà capire come calare nel concreto la playfulness nei propri processi e flussi di lavoro.

Un esempio concreto è quanto sta avvenendo nel 2025 nella design company Logotel. Durante il kickoff aziendale è stato coniato un nuovo termine, Tryler, frutto di una crasi tra try e trailer.

Un tryler ha la capacità di immaginare il futuro mettendosi in azione nell’immediato. Ogni persona all’interno di Logotel deve aspirare ad essere un tryler: una persona che esplora, prova e si sforza di migliorare, che va avanti testando, costruendo e perfezionando costantemente soluzioni in tempo reale.

Capacità di gestire paure e resistenze

L’introduzione dell’AI genera inevitabilmente ansie. Uno dei tratti di un leader efficace è affrontare direttamente le paure e le resistenze – sempre minori, ma ancora presenti –, senza ignorarle. Vediamo quali sono le principali paure da gestire e come i leader le possono affrontare.

Paura della sostituzione

Alimentata anche dalle informazioni non sempre accurate che circolano nel panorama mediatico, il timore che l’AI “rubi il lavoro” è ancora ben radicato. Secondo il report Ipsos Predictions Survey 2025, sia a livello globale sia in Italia il 65% delle persone effettivamente teme che il proprio posto venga preso dall’AI.

Un report molto dettagliato come il Future of jobs report 2025 del World economic forum sottolinea, al contrario, che l’impatto dell’intelligenza artificiale sarà più che altro trasformativo: più che cancellare professioni o crearne di nuove, l’AI avrà un forte impatto sui lavori già esistenti trasformandoli.

Per affrontare questa paura i leader dovrebbero imparare a comunicare chiaramente che l’AI, se utilizzata correttamente, è uno strumento che aumenta le capacità umane e non le sostituisce, definendo policy che garantiscano riqualificazione invece di licenziamenti.

Paura dell’inadeguatezza

Alcune persone temono di non essere abbastanza esperti di tecnologia. Nei loro confronti, i leader dovrebbero enfatizzare che la conoscenza approfondita e l’esperienza pratica nel proprio settore è più importante delle competenze tecniche. È inoltre fondamentale fornire una formazione accessibile e un supporto continuo, magari adottando un approccio community-driven all’adozione dell’AI: creare community di adozione aziendali, come quella sviluppata da Logotel per Italgas, Dojo, accelera l’adozione dell’AI e offre alle persone un ambiente in cui supportarsi a vicenda, confrontarsi e sviluppare una mentalità generativa.

Paura del controllo

Alcune delle visioni apocalittiche (per citare Umberto Eco) della futura convivenza tra umani e intelligenze artificiali dipingono un quadro in cui gli uomini diventeranno “schiavi” degli algoritmi.

La risposta di un leader dovrebbe essere ribadire che l’umano resta sempre al centro del processo decisionale (human in the loop) e implementare meccanismi di supervisione e controllo umano, per creare quella che gli psicologi organizzativi chiamano psychological safety, cioè un ambiente dove sperimentare con l’AI è sicuro e incentivato.

Presenza nel presente con sguardo al futuro

I leader devono sviluppare quella che potremmo chiamare “visione binoculare”: mantenere un occhio sul presente e uno sul futuro. A suggerirlo è Vipin Gupta, manager con oltre 30 anni di carriera alle spalle in aziende globali come Toyota Financial Services, di cui è stato Chief innovation and digital officer.

Secondo Gupta, attualmente presidente e CTO dell’azienda Flipt, i leader devono essere radicati nel presente in maniera da poter risolvere problemi immediati, supportare i team nelle sfide quotidiane, mantenere l’operatività.

Allo stesso tempo, devono essere proiettati nel futuro per anticipare trend, preparare l’organizzazione ai cambiamenti, investire in competenze che serviranno domani.

A proposito della visione di futuro che i leader dovrebbero avere, Andrew Carton, professore associato di Management alla Wharton school dell’Università della Pennsylvania, sottolinea la necessità per i leader di fornire immagini chiare e vivide del futuro che vogliono raggiungere.

Non serve solo avere una big picture, ma i leader devono comunicare a ogni dipendente come il proprio lavoro si collegherà alla visione e agli obiettivi dell’organizzazione, dipingendo scenari concreti su come cambierà il loro lavoro.

Accettare di non poter smettere di apprendere

Uno dei tratti che non potranno mancare negli AI leader è accettare di essere perennemente in modalità apprendimento. È un’evoluzione del socratico “so che non sapere”, che deriva da una constatazione semplice e sotto gli occhi di tutti: non solo l’AI evolve così rapidamente che nessuno può dirsi esperto definitivo, ma soprattutto l’AI continuerà sempre a evolvere, come sottolinea Ethan Mollick in un articolo apparso sul suo blog.

Servono percorsi di empowerment per rendere leader e manager sempre più contemporanei, aiutandoli ad affrontare le molteplici sfide che si trovano ad affrontare e a sperimentare con coraggio su una frontiera così mutevole e in veloce evoluzione come l’intelligenza artificiale.

Etica e responsabilità nell’uso dell’AI

Un ultimo tratto, non meno importante dei precedenti, riguarda la dimensione etica.

I leader devono assumersi la responsabilità di un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, dalla trasparenza degli algoritmi alla gestione dei dati sensibili. Questo significa promuovere un utilizzo responsabile e sostenibile della tecnologia, ponendo attenzione anche alle questioni che riguardano la diversità e l’inclusione.

Sono ormai diversi gli esperti e le organizzazioni che sottolineano come molti modelli di AI vengano addestrati sulla base di dataset parziali. L’Inclusive AI Lab co-diretto dall’antropologa Arora Payal e dall’Head of AI research di Adobe Laura Herman, ad esempio, evidenzia come nei dataset utilizzati per addestrate le AI non sia rappresentato adeguatamente il Sud Globale, dove attualmente vive il 90% dei giovani del mondo che costituisce la maggioranza degli utenti dei sistemi AI.

I leader etici devono condurre audit rigorosi dei sistemi AI, identificando e correggendo i bias per garantire risultati equi e imparziali, e devono promuovere dataset diversi e inclusivi per mitigare i pregiudizi incorporati nei modelli AI.

La leadership è solo il punto di partenza: il modello Leadership-Lab-Crowd

Leader aziendali che saranno in grado di sviluppare i tratti evidenziati nei paragrafi precedenti potranno essere un’ottima guida per la trasformazione delle proprie aziende. Ma i leader da soli, per quanto preparati, non bastano.

Lo sottolinea Ethan Mollick nel già citato articolo apparso sul suo blog One useful thing. Il professore e co-direttore del Generative AI Labs alla Wharton school parte da un paradosso: il miglioramento delle performance individuali con l’AI non si traduce automaticamente in miglioramenti organizzativi.

Per questo, Mollick suggerisce di adottare il modello Leadership, Lab e Crowd, un framework per la trasformazione organizzativa attraverso l’AI che si basa su tre componenti interconnesse:

  • leadership, che fornisce visione e incentivi per l’uso dell’AI, eliminando le barriere che portano i dipendenti a nascondere il loro uso dell’AI;
  • lab, un team di esperti che trasforma le scoperte individuali in prodotti e processi scalabili, crea benchmark specifici per l’azienda e costruisce prototipi per il futuro;
  • crowd, i dipendenti che attraverso la sperimentazione diretta scoprono come l’AI può migliorare il loro lavoro specifico.

Il successo dell’integrazione dell’AI dipende dalla creazione di cicli di feedback rapidi tra questi tre elementi, permettendo all’organizzazione di imparare e adattarsi più velocemente dei competitor in un contesto dove nessuno ha ancora un playbook definitivo per l’adozione dell’AI.

Riflessioni conclusive

La trasformazione AI delle organizzazioni non è una possibilità futura, è una necessità presente ed è un processo che, come spiega Mollick, sarà continuativo: non ci sarà un inizio e una fine, ma l’AI continuerà a evolvere, richiedendo a leader, organizzazioni e persone un adattamento costante.

Vi sono tratti comportamentali e attitudinali che i leader devono avere e/o sviluppare per poter guidare con efficacia le loro organizzazioni e le loro persone verso un cambiamento di paradigma.

Allo stesso tempo, però, la leadership da sola non basta. Serve l’integrare l’innovazione all’interno dell’organizzazione e catalizzare e sfruttare l’energia distribuita di tutti i dipendenti per far funzionare davvero l’AI, andando oltre l’aumento di produttività individuale o benefici per le singole persone.

Con una leadership preparata, le strutture adeguate e il coinvolgimento di tutti, le organizzazioni possono non solo sopravvivere ma prosperare nell’era dell’intelligenza artificiale.