Negli ultimi trent’anni, l’interazione tra persone e informazioni online si è costruita attorno a un meccanismo fondamentale: la ricerca. Digitare una domanda, ottenere un elenco di link, cliccare, leggere, confrontare. Questo processo ha definito non solo l’esperienza utente, ma anche modelli di business, strategie di marketing e, in larga parte, l’economia del web. Ma oggi qualcosa di profondo sta cambiando: stiamo entrando nell’era dello zero-click.
Dalla ricerca all’informazione immediata
L’evoluzione tecnologica ha sempre cercato di rispondere al desiderio umano di immediatezza. L’intelligenza artificiale generativa sta portando questa tendenza a un nuovo livello. Oggi, strumenti come ChatGPT, Perplexity o Gemini (Google) non si limitano a fornire un elenco di fonti: generano direttamente la risposta, sintetizzando i contenuti già esistenti sul web e restituendoli all’utente in forma immediata.
Questa trasformazione è evidente nei dati. Secondo una ricerca Bain-Dynata del 2024, l’80% dei consumatori usa risposte AI “zero-click” nel 40% delle ricerche. Il significato è chiaro: sempre più spesso le persone trovano ciò che cercano senza mai cliccare su un link, senza visitare un sito web, senza confrontarsi direttamente con la fonte primaria dell’informazione.
Google stesso ha accelerato questo cambiamento. Con l’introduzione delle AI Overviews nel motore di ricerca, le risposte automatiche sono diventate parte integrante della pagina dei risultati. Questo riduce il traffico ai siti web tradizionali e, più in generale, modifica l’intera esperienza digitale.
Il declino del click e l’impatto sui modelli di business
La conseguenza più immediata e tangibile di questa rivoluzione è la contrazione del traffico verso i siti web. Secondo Wired Italia, nel periodo marzo-aprile 2025, YouTube ha visto calare il traffico del 2%, Wikipedia del 6%. Il New York Times ha perso il 36,5% del traffico organico da Google. I dati parlano di un trend già in atto, che non sembra destinato a rallentare.
Per i media e gli editori digitali, questo trend mette in discussione i fondamenti del modello pubblicitario, basato sui volumi di visita. Tanto che un gruppo di editori indipendenti europei ha anche presentato un esposto all’Antitrust dell’UE contro Google.
Ma l’impatto si estende a tutti quei settori che hanno costruito la propria visibilità online sul posizionamento nei motori di ricerca: e-commerce, blog, piattaforme informative, brand digitali.
Inoltre, lo spostamento di valore dalle fonti ai motori AI solleva interrogativi critici anche sul piano etico e giuridico. L’addestramento dei modelli generativi si basa su contenuti raccolti online, spesso protetti da copyright e usati senza consenso esplicito. I rapporti di forza si stanno riequilibrando verso pochi grandi player – come OpenAI, Google, Meta – che non solo aggregano i contenuti, ma li reinterpretano, li riassumono e li servono direttamente all’utente.
La comodità ha un prezzo
L’utente medio sembra soddisfatto. L’interazione con chatbot conversazionali e risposte sintetiche è veloce, rassicurante, “umana”. Non servono confronti, ricerche aggiuntive o fatica cognitiva: la risposta è lì, pronta, unica. Ma questa comodità ha un prezzo.
L’abitudine al link – uno dei pilastri fondativi del web si sta erodendo. Le persone visitano meno fonti originali, sviluppano meno spirito critico, si confrontano con una sola versione della realtà. L’esperienza informativa si appiattisce. E, senza clic, scompare anche la possibilità di approfondire, verificare, scegliere.
Dal punto di vista culturale, il rischio è quello di un web passivo, in cui l’utente non naviga, ma consuma. Un Internet che smette di essere rete per diventare flusso. Una transizione dalla pluralità delle voci al monologo dell’algoritmo.
I nuovi comportamenti dei consumatori
Dal punto di vista del marketing e del comportamento d’acquisto, lo scenario è altrettanto fluido. Secondo la già citata ricerca Bain-Dynata, tra gli utenti dei modelli generativi:
- Il 68% li usa per fare ricerca e comprendere meglio un argomento.
- Il 48% li utilizza per informarsi su notizie e meteo.
- Il 42% chiede consigli di acquisto.
Questo significa che la fase di scoperta e orientamento dei consumatori si sta spostando dalle tradizionali fonti informative ai motori conversazionali. Il momento in cui si forma un’opinione su un prodotto, un brand o un servizio avviene sempre più spesso prima ancora di incontrare il sito del brand stesso.
Per i marketer, si traduce in una perdita di controllo sulle prime impressioni. La narrazione del brand non è più nelle mani dei creatori di contenuti, ma degli algoritmi che riassumono, interpretano, sintetizzano. A volte, con errori o distorsioni.
Il marketing nell’era zero-click
Di fronte a questa trasformazione, le strategie digitali tradizionali non bastano più. Fare SEO non significa più solo ottimizzare per i motori di ricerca, ma ottimizzare per essere leggibili e comprensibili dall’AI. Non basta essere primi su Google: bisogna essere scelti dall’algoritmo per entrare nella risposta generata.
Secondo Bain, le aziende più avanzate stanno già muovendosi su tre fronti:
- Rendere i contenuti semanticamente chiari e indicizzabili, evitando formati chiusi come PDF o pagine troppo dense.
- Diversificare i formati, puntando su video, esperienze interattive e contenuti ad alto valore che possano “nutrire” i modelli di AI.
- Ridefinire i KPI, spostando l’attenzione dal numero di clic all’influenza reale sui risultati generati dall’AI.
La posta in gioco non è solo il traffico, ma la visibilità, la fiducia e la rilevanza nel primo touchpoint della nuova esperienza digitale.
Una nuova architettura del sapere?
A un livello più profondo, quello che sta cambiando è la struttura stessa dell’informazione online. L’intelligenza artificiale non solo redistribuisce l’attenzione, ma riordina la conoscenza, la semplifica, la sintetizza. E lo fa secondo logiche che non sono necessariamente trasparenti o neutre.
Quando il flusso informativo viene filtrato da un unico intermediario – che decide cosa è rilevante, cosa è accurato, cosa è sufficiente – si riduce lo spazio per il confronto, la molteplicità, la divergenza. Il rischio non è solo tecnico, ma culturale: passare da un web partecipato a un web guidato.
Un web da ripensare
L’era zero-click è solo all’inizio, ma sta già ridisegnando le nostre abitudini digitali. Per i brand, significa ripensare il modo in cui si costruisce presenza, valore, relazione. Per i media, è una sfida economica e politica. Per tutti, è un invito a tornare protagonisti delle proprie scelte informative.
Non si tratta di opporsi all’innovazione, ma di accompagnarla con consapevolezza. L’AI può semplificare, facilitare, accelerare. Ma non può – e non deve – sostituire la curiosità, il pensiero critico e la libertà di esplorare.
Ma soprattutto, in questo contesto di trasformazione radicale, è necessario per aziende e organizzazioni ricordare che la sfida non è l’AI in sé, ma le nuove dinamiche di collaborazione e relazione che essa permette di sviluppare, come ricorda in un suo articolo Cristina Favini, Co-founder, General Manager & Chief Design Officer della design company Logotel.
“L’intelligenza artificiale si offre come una potenziale nuova trama nelle nostre imprese, una piattaforma di connessioni che esige l’abilitazione di linguaggi adeguati e contenuti innovativi”, scrive Cristina. La domanda da farsi è allora ben più radicale del “cosa vogliamo fare con l’AI”, o in questo caso “cosa vogliamo fare per farci trovare dall’AI”. Occorre invece sempre chiedersi: cosa vogliamo fare con il nostro business?