Sarà capitato a tutti di uscire da un meeting e di provare un senso di confusione, insoddisfazione o addirittura frustrazione. Una sensazione a cui un recente articolo dell’Harvard business review ha dato ora un nome: il meeting hangover.
Negli ultimi anni i meeting sono aumentati. Non solo in digitale – la proliferazione di videocall durante la pandemia aveva portato a coniare un termine, la zoom fatigue – ma anche in presenza: è un fenomeno ascrivibile al collaboration overload, letteralmente un eccesso o sovraccarico di collaborazione.
Tutto ciò può affossare la produttività e ha effetti anche sul coinvolgimento delle persone, come spiega tra gli altri Rachel Happe, esperta di organizzazioni e di comunità digitali aziendali, in un articolo apparso sul 16° numero di Weconomy – progetto open-source della Independent design company Logotel: “Passiamo più tempo in riunioni e a gestire il nostro flusso di informazioni e molto meno tempo a fare qualcosa di interessante. Questo non significa coinvolgere le persone”.
Meeting efficaci, però, sono fondamentali per un lavoro di tipo collaborativo. Un incontro che funziona è una impareggiabile occasione di confronto, allineamento tra team, e anche di costruzione e rafforzamento di legami. Come evitare di sprecare questa opportunità e non trasformare i meeting in trappole improduttive e deleterie per lo stato d’animo dei partecipanti?
In questo articolo spieghiamo cos’è il meeting hangover, quali sono i campanelli di allarme che un buon leader dovrebbe imparare a riconoscere e quali sono alcune strategie per organizzare meeting che non lascino i partecipanti più confusi di quando sono entrati.
Cos’è il meeting hangover
Secondo l’HBR, l’hangover da meeting è un periodo di diminuita concentrazione, motivazione o produttività che fa seguito a una cattiva riunione, proprio come avviene durante i postumi di una sbornia.
I principali effetti del meeting hangover sono:
- impatto negativo su flusso di lavoro e produttività
- un minore coinvolgimento nel lavoro
- effetti dannosi sulle interazioni con i colleghi
- una sensazione di disconnessione dal team
- il desiderio di stare soli
- la tendenza a sfogarsi con i colleghi
Questi effetti negativi possono durare in media circa due ore, ma in alcuni casi possono protrarsi fino alla fine della giornata lavorativa o addirittura estendersi anche oltre l’orario lavorativo, influenzando in modo negativo anche la vita familiare delle persone che li sperimentano.
Il fenomeno è abbastanza diffuso, almeno secondo gli autori dell’articolo dell’HBR, che sull’argomento hanno condotto uno studio che ha coinvolto oltre 5.000 lavoratori della conoscenza (knowledge workers) provenienti da Stati Uniti e Regno Unito.
Oltre il 90% dei partecipanti ha sperimentato hangover da meeting almeno occasionalmente e più di un quarto delle riunioni (28%) sul posto di lavoro lascia effetti negativi persistenti, come la compromissione del coinvolgimento e della produttività.
Cosa disturba di più le persone nei meeting? Un sondaggio Logotel
Secondo lo studio dell’HBR, le principali cause di frustrazione durante un incontro lavorativo sono l’irrilevanza degli argomenti (59%), la mancanza di una chiara agenda e obiettivi chiari (59%), la cattiva gestione del tempo (53%), la mancanza di risultati attuabili o follow-up (48%), la partecipazione diseguale (39%) o scarsa (38%) e la facilitazione inefficace (30%).
Da un sondaggio condotto su Linkedin dalla design company Logotel, sono emersi anche altri elementi che disturbano i partecipanti di un meeting, lasciando postumi dopo la sua conclusione: la mancanza di decisioni al termine dell’incontro e la lunghezza eccessiva dei meeting.
Come evitare il meeting hangover e rendere gli incontri produttivi e sostenibili
Per fortuna, gli autori dell’articolo hanno individuato anche cinque strategie chiave che chi guida le riunioni può adottare per evitare che i meeting lascino strascichi negativi sui partecipanti. Vediamole in breve.
Facilitare anziché dominare la conversazione
Quando i leader o pochi partecipanti monopolizzano la discussione gli altri partecipanti si sentono frustrati e avvertono la sensazione di aver sprecato il loro tempo. Un buon facilitatore, invece, si assicura che tutte le voci vengano ascoltate. Può farlo assegnando a diversi membri del team la responsabilità di presentare specifici punti all’ordine del giorno, o utilizzando strumenti interattivi come sondaggi o quiz per stimolare la partecipazione. Questo approccio è particolarmente importante nelle riunioni virtuali o ibride, dove è ancora più facile per i partecipanti “scomparire” sullo sfondo e rimanere in silenzio.
Essere “spietati” nel selezionare i partecipanti
Sarà capitato a tutti chiedersi “perché sono qui?” durante una riunione a cui si poteva non partecipare. Non solo: lo studio dell’HBR conferma che l’efficacia delle riunioni diminuisce all’aumentare del numero di partecipanti. Cosa fare dunque? Invitare ai meeting solo le persone essenziali per raggiungere gli obiettivi che sono stati prefissati, “tagliando” i partecipanti superflui.
Per evitare di escludere del tutto anche chi potrebbe avere un interesse marginale nel meeting esistono delle alternative: dare loro la possibilità di inviare input prima della riunione o ricevere un riassunto subito dopo, magari sfruttando le nuove potenzialità di tool di AI generativa ormai integrati in molte suite collaborative aziendali, come M365/Copilot.
Trasformare le agende vaghe in piani d’azione concreti
Abbiamo visto come la mancanza di un’agenda chiara è uno degli elementi che causano più hangover da meeting. Il suggerimento è non solo di chiarire nello specifico di cosa si discuterà durante l’incontro, ma anche di orientare all’azione i punti del meeting con domande chiare che guidano verso azioni e decisioni concrete.
Rispettare rigorosamente il tempo di tutti
“Il tempo è denaro”, diceva Benjamin Franklin. Ora si potrebbe dire: il tempo è rispetto. Della vita lavorativa ed extralavorativa di tutte le persone che partecipano ai meeting.
La cattiva gestione del tempo è una questione di cortesia e può avere effetti a catena anche sulla produttività di tutti i partecipanti. Una strategia efficace suggerita dagli autori dell’articolo sull’HBR è lasciare che sia l’agenda a determinare la durata della riunione, non il contrario. Se gli argomenti possono essere discussi in 30 o 45 minuti, non c’è motivo di programmare un’ora intera. La pressione del tempo limitato spesso aumenta sia l’efficienza che la qualità della discussione: una sorta di scarcity marketing applicato alle riunioni.
Creare una cultura della responsabilità chiara
Infine, niente genera più frustrazione del concludere una riunione senza sapere chi deve fare cosa, come si evince anche dai risultati del sondaggio condotto da Logotel.
Per questo è fondamentale assegnare un responsabile specifico per ogni decisione o azione emersa durante l’incontro. Un case study concreto è quanto accade in Apple, per esempio, dove viene utilizzato il concetto di DRI (Directly Responsible Individual) per ogni punto d’azione, utilizzando poi le piattaforme di intelligenza artificiale e gestione del lavoro per supportare ulteriormente questo processo.
Quando tutti sanno esattamente cosa ci si aspetta da loro e entro quando, la riunione diventa un trampolino di lancio per l’azione, non un ostacolo alla produttività.
Oltre al meeting hangover: i tre segnali d’allarme per meeting improduttivi
Evitare l’hangover da meeting non può però essere l’unica preoccupazione di leader e manager. La principale è fare in modo che le riunioni non divengano routine e siano realmente produttive, costruttive e arricchenti per tutti i partecipanti.
Un recente articolo apparso sulla MIT Sloan Management Review approfondisce l’argomento, evidenziando come i leader più efficaci bilancino costantemente tre ruoli fondamentali durante le riunioni: quello di modellatore (gestendo agenda e flusso delle conversazioni), di partecipante (condividendo informazioni e punti di vista) e di osservatore (monitorando le dinamiche del gruppo). È proprio in quest’ultimo ruolo, spesso il meno visibile ma il più cruciale, che i leader esperti riescono a individuare tre campanelli d’allarme che segnalano una riunione improduttiva.
Il primo segnale è la pseudo-attenzione: partecipanti apparentemente presenti ma mentalmente assenti, distratti da chat laterali o dispositivi elettronici, che fingono di seguire ma in realtà colgono solo frammenti della discussione.
Il secondo è rappresentato dalle voci marginalizzate: quando alcuni membri dominano la conversazione mentre altri si autocensurano o vengono esclusi, privando il team di prospettive preziose e alimentando disimpegno e risentimento.
Il terzo, forse il più insidioso, è il falso consenso: quando il leader forza artificialmente un accordo attraverso pressioni temporali o di potere, ottenendo acquiescenza invece di vera collaborazione.
Per prevenire queste dinamiche distruttive, i leader più abili adottano strategie specifiche: riducono drasticamente l’agenda concentrandosi sull’essenziale, utilizzano strumenti collaborativi come lavagne condivise per depersonalizzare i problemi, coinvolgono attivamente le diverse reti relazionali presenti nel team, e soprattutto designano qualcuno per raccogliere e valorizzare anche le opinioni espresse nelle chat laterali.
Inoltre, invece di forzare l’allineamento a tutti i costi, identificano chiaramente le aree di disaccordo per risolverle costruttivamente nel tempo. Stabilire norme chiare – come la lettura preliminare dei materiali e l’assegnazione esplicita di follow-up – completa questo approccio che trasforma le riunioni da rituali sterili a momenti di autentica crescita collettiva.
In conclusione
Il meeting hangover non è solo un fastidioso effetto collaterale delle riunioni mal gestite: è un sintomo di problemi organizzativi più profondi che minano produttività, coinvolgimento e benessere dei lavoratori. In un’epoca in cui la collaborazione è essenziale ma il tempo è sempre più prezioso, non possiamo permetterci di sprecare ore in incontri che lasciano i partecipanti più confusi e demotivati di prima.
La buona notizia è che trasformare le riunioni da momenti di frustrazione a opportunità di crescita è possibile. Richiede un cambio di mentalità: dal vedere i meeting come rituali obbligatori al considerarli investimenti strategici nel capitale umano e relazionale dell’organizzazione. Significa passare dalla quantità alla qualità, dalla routine alla consapevolezza, dal controllo alla facilitazione.
I leader che padroneggiano l’arte di condurre riunioni efficaci non solo prevengono l’hangover da meeting, ma creano spazi di autentico confronto dove le idee fioriscono, le decisioni vengono prese con cognizione di causa e tutti i partecipanti si sentono valorizzati. In questo modo, i meeting diventano quello che dovrebbero essere sempre stati: catalizzatori di innovazione e coesione, non ostacoli alla produttività.
Implementare queste strategie richiede impegno e pratica, ma i benefici sono evidenti: dipendenti più coinvolti, riunioni più produttive e, soprattutto, l’eliminazione di quegli spiacevoli “postumi” che possono rovinare intere giornate lavorative.