Un italiano su due non comprende l’intelligenza artificiale: ecco perché formazione e training AI sono sempre più importanti

Una recente indagine Legacoop-Ipsos evidenzia il ritardo di metà Paese su un tema cruciale come la buona comprensione dell’intelligenza artificiale. Per colmare questo gap servono approcci formativi innovativi basati su sperimentazione continua e corale e logiche collaborative community-driven.

Come si può utilizzare in maniera efficace qualcosa che non si comprende? E, soprattutto, come se ne possono intuire le opportunità, ma anche i rischi?

Sono due delle possibili domande che scaturiscono dall’ultimo report che analizza il rapporto tra gli italiani e l’intelligenza artificiale. Una materia che dovrebbe essere ormai mainstream, dal momento che queste tecnologie – perché è più corretto parlare di intelligenze artificiali al plurale – sono ovunque, sul lavoro così come nella vita quotidiana: smartphone, auto, tv, piattaforme di e-commerce, motori di ricerca sul web, oltre che chatbot e software.    

Eppure, secondo un’indagine Legacoop e Ipsos, non è così: la metà degli italiani non comprende bene cosa sia l’intelligenza artificiale.

Certo, il dato lo si può leggere al contrario: un italiano su due dichiara di avere una buona comprensione dell’AI. Ma considerando la posta in gioco, e cioè la forza disruptive dell’intelligenza artificiale in ogni aspetto della nostra vita, forse è più utile concentrarsi sul grosso gap che c’è da colmare, piuttosto che guardare il bicchiere mezzo pieno.

In questo articolo ci soffermiamo sulle principali evidenze di questo report e sull’importanza per tutti i soggetti dell’ecosistema Paese – settore pubblico, terzo settore, aziende e individui – di investire nella formazione e nel training AI. Perché colmare i gap in termini di conoscenza ci sembra il presupposto fondamentale per un utilizzo e una adoption efficace e consapevole dell’intelligenza artificiale.      

Cosa dice il report: Italia penultima tra 30 Paesi nella comprensione dell’AI

Il report FragilItalia: Intelligenza artificiale e ruolo della tecnologia, realizzato da Area Studi Legacoop e Ipsos, è un’indagine a campione effettuata tra marzo e aprile di quest’anno su un panel di oltre 23 mila cittadini di età inferiore ai 75 anni distribuiti in 30 Paesi del mondo.

Sulla comprensione dell’intelligenza artificiale l’Italia si colloca al penultimo posto, ben al di sotto della media a livello internazionale, che è del 67%. A fare peggio di noi è solo il Giappone, dove appena il 41% degli intervistati afferma di avere una buona comprensione dell’AI.   

La fotografia sul rapporto tra gli italiani e le tecnologie AI fornita dal report si completa con altre risposte:

  • il 46% degli intervistati conosce prodotti e servizi che utilizzano l’AI (la media globale è del 52%);
  • il 53% pensa che l’AI comporti più vantaggi che svantaggi (contro una media globale del 56%);
  • Il 49% si dichiara entusiasta dei prodotti e servizi che utilizzano l’AI (la media globale è 52%);
  • il 44% (9 punti in meno della media globale) percepisce invece prodotti e servizi AI-powered come fonte di ansia.

A parte pochi sprazzi di luce, il quadro è decisamente pieno di ombre ed evidenzia un gap importante: c’è un ritardo culturale e informativo che rischia di compromettere la competitività del sistema Italia nell’era digitale. Non solo: se si mettono questi dati in relazione con quanto riportato dall’Unione europea nel Desi, l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società dell’Ue, ci si accorge che la situazione, sul fronte dell’alfabetizzazione digitale, è stagnante.

Gli ultimi dati del Desi relativi all’Italia, datati 2023, dicevano infatti che solo il 45,7% degli individui tra i 16 e i 74 anni aveva un livello di alfabetizzazione digitale almeno basico. E allora si ritorna alla domanda di partenza: senza competenze digitali di base, come si può utilizzare con consapevolezza una tecnologia così potente e rischiosa come l’intelligenza artificiale o l’AI generativa?

La mancata comprensione frena anche l’adoption consapevole

Il gap a livello di comprensione dell’AI si riflette anche sull’adoption di queste tecnologie. Anche in questo caso, gli ultimi dati affidabili – provenienti dall’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano – evidenziano un ritardo delle imprese italiane rispetto ad altri Paesi europei.  

Il deficit di comprensione e la lentezza nell’adozione dell’AI generano conseguenze su tre fronti principali.

  • Sul piano competitivo, le imprese italiane stanno perdendo terreno prezioso. Senza una comprensione strategica dell’AI, le aziende la impiegano in modo superficiale e frammentario, rinunciando al suo potenziale trasformativo per ripensare processi, sviluppare nuovi servizi e creare esperienze innovative per i clienti.
  • Sul fronte occupazionale, i segnali sono chiari. Il World Economic Forum identifica l’evoluzione tecnologica come uno dei principali driver che trasformeranno il mondo del lavoro – una consapevolezza condivisa dal 75% degli italiani intervistati, che vedono nell’AI la tecnologia più impattante per il futuro. Il Future of Jobs Report 2025 del WEF quantifica questa trasformazione: circa il 40% delle competenze attuali diventerà obsoleto entro il 2030. In questo scenario, l’aggiornamento continuo delle competenze non è più un’opzione, ma una necessità di sopravvivenza professionale.
  • A livello normativo, l’AI Act europeo ha introdotto da febbraio 2025 l’obbligo di AI Literacy – un’alfabetizzazione di base sull’intelligenza artificiale – per fornitori e utilizzatori di sistemi AI. Le organizzazioni devono ora garantire che il proprio personale possieda competenze adeguate sull’intelligenza artificiale, un requisito che trasforma la formazione AI da scelta strategica a obbligo di compliance.

Secondo Simone Gamberini, presidente Legacoop, siamo nel mezzo di “una rivoluzione silenziosa ma vorticosa” che non può essere lasciata al caso. Commentando l’indagine FragilItalia, Gamberini parla di un duplice scenario: “Da un lato, l’Italia sta vivendo una profonda trasformazione legata all’evoluzione tecnologica, che ha già cambiato radicalmente le abitudini quotidiane, il lavoro, e soprattutto l’accesso all’informazione; dall’altro, permane un significativo ritardo culturale e informativo verso l’intelligenza artificiale, rispetto ad altri Paesi”, che “è fondamentale colmare”.

Come colmare questo gap? Oltre a evidenziare comprensibilmente il ruolo del mondo cooperativo, Gamberini sottolinea anche l’importanza di politiche pubbliche e di un patto tra istituzioni, imprese, mondo del lavoro e cittadini per accompagnare l’adozione dell’AI e la promozione di conoscenza e consapevolezza sulle nuove tecnologie.

La formazione efficace sull’AI: continua e community-driven

Il mondo delle imprese, in particolare, può giocare un ruolo fondamentale nella formazione, nel training e nell’accelerazione dell’adoption dell’intelligenza artificiale. Non solo perché è da sempre un traino per l’innovazione, ma anche perché, come abbiamo scritto, colmare il gap di conoscenza e comprensione dell’AI è fondamentale per garantire la competitività di ogni azienda.

Ma nel caso di materie in così rapida evoluzione come l’intelligenza artificiale e l’AI generativa, quale tipologia di formazione è più efficace? È il dilemma – e l’ostacolo – che si stanno trovando di fronte molte aziende, che stanno constatando come in questi campi gli approcci formativi tradizionali, da soli, non siano sufficienti.

Serve una prospettiva diversa, come quella adottata dall’Independent design company Logotel, che dal 1993 accompagna aziende e organizzazioni attraverso le trasformazioni e, tra i suoi servizi, progetta e realizza percorsi di learning e change.

Come dichiarato dal CEO di Logotel Nicola Favini in un’intervista pubblicata sul Sole 24 Ore, “l’AI non vive di teoria ma di pratica, è difficile trovarla nei libri, ed è, quindi, più facile che viva nelle tante sperimentazioni che le persone possono fare e nella messa a fattor comune delle esperienze”.

Le due direttrici che guidano l’approccio Logotel all’AI training e adoption sono la sperimentazione e la collaborazione. Che si fondono in una logica community-driven, dove la sperimentazione diventa corale e aiuta a superare uno dei principali limiti attuali legati all’utilizzo dell’AI, e cioè l’uso individualistico.

La logica community-driven incentiva un apprendimento:

  • continuo e aggiornato: l’AI evolve rapidamente, rendendo obsolete le competenze in pochi mesi. La formazione deve essere un processo ongoing, non un evento isolato;
  • collaborativo, basato sulla condivisione di esperienze e best practice all’interno di community di professionisti. Una strada che si rivela più efficace del tradizionale approccio top-down. Le persone imparano meglio confrontandosi con pari che affrontano sfide simili;
  • pratico e applicativo: non basta conoscere la teoria. I percorsi formativi devono includere laboratori pratici, progetti reali e sperimentazione diretta con gli strumenti AI;
  • personalizzato: ogni settore e ruolo professionale ha esigenze specifiche. La formazione deve essere modulare e adattabile alle diverse necessità.

La sperimentazione diretta, i laboratori pratici di applicazione, il dialogo costante e il reciproco sostegno all’interno delle community rappresentano alcuni dei pilastri dell’approccio Logotel all’intelligenza artificiale. La finalità va oltre il semplice sviluppo di competenze tecniche: si tratta di guidare le persone verso una vera trasformazione del proprio approccio mentale.

Per questo motivo, in Logotel è stato coniato il concetto di Digital mAIndset: un approccio formativo e trasformativo che integra adozione dell’AI, sperimentazione pratica, collaborazione tra pari e cultura e valori della community.

AI training e AI adoption community-driven: il case study Dojo di Logotel

Un caso concreto che mostra l’efficacia dell’approccio community-driven all’AI training e adoption è il Dojo: un ambiente collaborativo di scambio e apprendimento continuo progettato per favorire la diffusione di cultura, esperienza e training su AI e GenAI, per accelerarne l’adozione e accompagnare le persone nel presente e nel futuro.

Il Dojo di Logotel è una community di adozione dell’AI basata sull’ecosistema Microsoft 365. La design company ha attivato il progetto al proprio interno, per le proprie persone, e lo ha replicato con successo con alcuni dei suoi clienti, come mostra il caso del Dojo sviluppato per Italgas.

Nel Dojo le persone possono condividere conoscenze, esperienze e best practices. La community facilita la comunicazione interna, lo scambio di contenuti, l’idea generation, il supporto professionale e la creazione di nuove ritualità.

Riflessioni conclusive

Il dato che emerge dal report Legacoop-Ipsos è un campanello d’allarme che non si può ignorare. La formazione sull’intelligenza artificiale diventa una necessità strategica per i professionisti che vogliono rimanere rilevanti nel mercato del lavoro, per le aziende che puntano all’innovazione e alla crescita e per il Sistema Paese che deve competere a livello globale.

Ma affinché formazione, training e adoption dell’AI siano efficaci, bisogna procedere con  approcci innovativi, in linea con una materia che evolve così rapidamente. Occorre privilegiare una logica community-driven che amplifichi gli effetti della sperimentazione portandola da una scala individuale a una collettiva, stimoli l’apprendimento continuo e pratico, accompagni le persone ad adottare una mentalità più generativa, ciò che Logotel definisce Digital mAIndset.