Workplace AI: come migliorare la produttività e il benessere

L’intelligenza artificiale diventa il punto di partenza per ripensare completamente il lavoro, trasformando produttività, benessere e apprendimento continuo nelle organizzazioni moderne.

Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha smesso di essere un argomento da convegno per diventare parte integrante del lavoro quotidiano. Dai documenti che si scrivono più velocemente alle riunioni che si sintetizzano da sole, dai flussi operativi automatizzati alle interazioni tra colleghi mediate da chatbot, l’AI è già qui.

Ma la vera trasformazione non riguarda soltanto la quantità di strumenti disponibili. Riguarda il modo in cui pensiamo il lavoro stesso.

Nel libro AI Value Creators pubblicato da O’Reilly, ad esempio, gli autori Rob Thomas, Paul Zikopoulos e Kate Soule introducono una distinzione fondamentale tra due approcci: il modello +AI, in cui si aggiunge semplicemente un po’ di intelligenza artificiale agli strumenti esistenti, e il modello AI+, in cui l’AI diventa il punto di partenza per ripensare completamente attività, ruoli e relazioni professionali. Questo cambio di paradigma non è solo una questione tecnica, ma culturale e organizzativa. E ha profonde implicazioni su produttività, benessere e senso stesso del lavoro.

Dalla sovrapposizione all’integrazione: il superamento del modello +AI

Il modello +AI è quello che abbiamo visto affermarsi in prima battuta. Un assistente che ti corregge i testi, un algoritmo che ti suggerisce la prossima attività, un plugin che crea automaticamente un riassunto. Utili, certo, ma spesso percepiti come un “extra”, qualcosa che si aggiunge a un modo di lavorare già esistente.

In questo approccio, la tecnologia resta ai margini. Entra nei processi come supporto, ma non li ridisegna. E infatti, molte aziende che hanno adottato strumenti di intelligenza artificiale generativa hanno registrato un entusiasmo iniziale, seguito da una fase di stallo. Perché, senza una revisione profonda dei processi e delle abitudini, gli strumenti restano sottoutilizzati o percepiti dalle persone come un ulteriore carico cognitivo.

Il vero salto avviene con il modello AI+, quando cioè l’AI diventa parte nativa del flusso di lavoro. Non si tratta più di “usare” l’intelligenza artificiale, ma di lavorare attraverso di essa. Ogni attività, ogni decisione, ogni interazione viene riformulata alla luce delle nuove possibilità che la tecnologia offre.

AI+ e redesign del lavoro: un nuovo modo di essere produttivi

Nel workplace AI+ il lavoro non si struttura attorno a una lista di task, ma attorno a obiettivi da raggiungere in collaborazione con sistemi intelligenti. L’AI non serve solo per velocizzare ciò che già facciamo, ma per suggerirci nuovi modi di affrontare un problema, nuove connessioni tra progetti, nuove priorità basate su contesto, dati e previsioni.

Un esempio concreto è il modo in cui le piattaforme di produttività – come Microsoft 365 Copilot, Notion AI o Slack GPT – stanno evolvendo. Non si limitano più ad “aggiungere” automazioni, ma stanno diventando ambienti in cui l’intelligenza artificiale è presente ovunque: nella scrittura, nella ricerca di informazioni, nel coordinamento dei team, nella gestione del tempo.

Nel modello AI+, la produttività non è più una questione di velocità, ma di intelligenza distribuita. I team imparano a lavorare in modo asincrono, delegano attività a strumenti capaci di apprendere e adattarsi, utilizzano la tecnologia per concentrarsi su ciò che ha davvero valore: analisi, relazione, creatività.

Il benessere come nuova metrica di performance

Un altro aspetto centrale del modello AI+ è che la produttività non viene più misurata solo in output. Entra in gioco una nuova variabile: il benessere delle persone. Quando l’AI viene integrata in modo intelligente nei flussi di lavoro, non solo aumenta l’efficienza, ma si riduce il carico cognitivo, si eliminano i passaggi inutili, si semplifica la comunicazione.

Questo ha un impatto diretto sullo stress, sulla qualità della collaborazione e sulla possibilità di mantenere un equilibrio tra vita professionale e personale. Se un sistema ti suggerisce i momenti migliori per affrontare un compito, se ti avvisa in anticipo che stai accumulando troppi meeting, se ti libera da micro-task ripetitivi, allora il tuo lavoro diventa più sostenibile, più umano.

Nel libro di O’Reilly si sottolinea come la vera leadership nell’era dell’AI sia quella che considera la tecnologia come alleata per la crescita delle persone, non come leva per aumentare la pressione. Il benessere non è un effetto collaterale, ma un obiettivo progettuale. E le piattaforme AI-powered devono essere disegnate in questa prospettiva.

La maturità organizzativa nell’uso dell’AI

Adottare strumenti AI non basta. Serve una cultura che li sappia accogliere. Le organizzazioni che ottengono valore reale dall’intelligenza artificiale sono quelle che investono nel cambiamento culturale, non solo tecnologico. Formano le persone, incentivano la sperimentazione, valorizzano i piccoli successi locali, favoriscono la condivisione delle pratiche.

Nel workplace AI+ l’adozione non è calata dall’alto, ma costruita dal basso, coinvolgendo chi lavora ogni giorno nei processi. Le piattaforme vengono configurate in modo flessibile, i flussi di lavoro adattati, i prompt condivisi, i risultati monitorati. Si crea un ecosistema di apprendimento continuo, in cui ogni persona può contribuire all’evoluzione degli strumenti.

In questo contesto, il ruolo delle community interne è fondamentale. Sono spazi in cui le persone possono confrontarsi su come l’AI impatta il loro lavoro, scambiare esempi, proporre soluzioni. E sono spesso proprio queste community a fare da ponte tra i team tecnici e gli utenti finali, accelerando l’adozione in modo organico.

Un esempio concreto dell’efficacia dell’AI adoption community-driven è il case study Dojo, community di adozione di Microsoft Copilot progettata e realizzata dalla Independent design company Logotel per uno dei suoi clienti, Italgas.

Oltre la produttività: creatività, decisioni, apprendimento

Uno degli effetti più interessanti dell’adozione matura dell’AI è che la tecnologia smette di essere un “acceleratore” per diventare un “abilitatore”. Non solo aiuta a fare più velocemente, ma permette di fare cose che prima non erano possibili.

L’AI generativa consente ai team di esplorare alternative in pochi secondi, di simulare scenari, di elaborare testi o visualizzazioni a partire da un’intuizione. Questo libera tempo ed energia per riflettere, sperimentare, ideare. E fa emergere nuove forme di collaborazione, in cui le barriere tra ruoli tecnici, creativi e decisionali si fanno più fluide.

Inoltre, il workplace AI+ diventa un ambiente di apprendimento continuo. Ogni interazione con l’AI può essere una fonte di insight, ogni output può generare nuove domande, ogni flusso può essere migliorato. Le organizzazioni che riescono a trasformare il lavoro in una piattaforma di apprendimento permanente sono quelle che creano vantaggio competitivo sostenibile.

Dall’adozione all’evoluzione

Il futuro del lavoro non sarà determinato solo da quante piattaforme AI adotteremo, ma da come sapremo ripensare il lavoro alla luce delle possibilità che queste tecnologie offrono. Il passaggio da +AI a AI+ suggerito dal libro AI Value creators è una transizione fondamentale. Richiede visione strategica, sensibilità organizzativa e attenzione alla persona.

L’intelligenza artificiale può aumentare la produttività, ma anche migliorare la qualità del tempo lavorativo, restituire senso al lavoro e stimolare l’innovazione diffusa. Può ridurre la complessità, ma anche allenare nuove forme di pensiero. Può automatizzare, ma soprattutto può abilitare.

Il workplace AI non è solo una somma di strumenti. È un cambiamento profondo del modo in cui le persone lavorano, imparano, decidono e si relazionano. E come ogni cambiamento profondo, va accompagnato, non imposto. Perché solo in un contesto di fiducia, sperimentazione e ascolto reciproco, l’AI può davvero diventare alleata del benessere e della crescita professionale.