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Lasciare il segno, generare impatto

Progettiamo per modificare lo status quo e generare un impatto concreto e positivo. Le community sono la dimensione che attiva la trasformazione dei singoli, facendo emergere quelle conoscenze, energie e quei comportamenti che da soli non avrebbero potuto mettere in campo.

Le domande che gravitano intorno a questo articolo sono tante, importanti e in qualche modo interconnesse. Cosa significa creare impatto – tramite un progetto o una serie di progetti – in un’organizzazione, in un’azienda o anche nel quartiere in cui viviamo? Perché l’impatto è una prerogativa di un progetto che voglia dirsi tale? Perché e in che modo possiamo creare impatto attraverso un approccio di community design?

Certo non è possibile affrontarle tutte in una sola volta, ma possiamo provare a dirimere almeno la questione per noi centrale ovvero: come e perché creare impatto attraverso la forma progettuale delle community.

Progettiamo per lasciare un segno, per generare impatto

Quando progettiamo lo facciamo sempre con l’ambizione più o meno esplicita di modificare lo status quo, di portare cambiamento, semplificazione, innovazione… progettiamo per lasciare un segno, per generare impatto.

La prima considerazione da fare riguardo a questa tesi è che il grande dibattito sulla sostenibilità (sociale, ambientale, economica) ci ha insegnato che i concetti di innovazione, cambiamento e impatto non sono affatto lineari e univoci: non di rado le soluzioni proposte (pensiamo al tema così divisivo delle auto elettriche) si rivelano col tempo poco funzionali allo scopo per cui sono state elaborate, cosicché un passo avanti nel breve può significarne due indietro nel medio termine.

Decrescita felice (parola un po’ fuori moda), quiet quitting, nomadismo digitale sono tutti fenomeni che in qualche modo problematizzano il concetto di crescita, di cambiamento lineare da una situazione A a una B a una C, in cui B è meglio e preferibile ad A e C è meglio di B e così via. Ma allora, come progettisti, come possiamo immaginare un impatto concreto e positivo?

Utilizzando le community è la nostra risposta, le community come strumento, entità, progetti di cambiamento reale nel e del mondo.

E questa non è solo teoria, ma pratica figlia di un punto di vista privilegiato: lavorando in numerosi progetti di community, negli anni ho osservato e misurato l’impatto delle community nella vita delle persone e delle organizzazioni:

  • condivisione e cooperazione dove c’era competizione;
  • nascita di nuovi team e di nuove sfide professionali (con la creazione di vere e proprie startup all’interno delle aziende);
  • voci finalmente libere di esprimersi attraverso un linguaggio condiviso e produttivo.

Le community fanno emergere comportamenti che il singolo partecipante da solo non avrebbe potuto mettere in campo

Ma in che modo far accadere queste “epifanie” progettuali?

Da community manager e da progettista ho sempre pensato che l’effetto community – al di là degli strumenti di progettazione, dei KPI, della pianificazione editoriale e degli obiettivi – fosse qualcosa di difficile da definire in modo univoco e da replicare su n casi differenti. Che valesse per le community quella che Baudelaire chiama la morale del giocattolo, ovvero che se lo smonti per capire come funziona, normalmente lo rompi.

Ma al di là di questa prima sensazione, se vogliamo approfondire il tema possiamo pensare che le community generino un impatto paragonabile, mutatis mutandis, alle proprietà emergenti teorizzate tra gli altri dal filosofo Karl Popper, ovvero proprietà che non sono la semplice somma delle proprietà delle sue parti. Stiamo adattando al nostro discorso una teoria complessa che nasce in seno alla fisica e agli studi più avanzati sulla coscienza, ma che, in modo forse metaforico, ci porta a ragionare sull’impatto delle community come a qualcosa che fa emergere conoscenze, energie, comportamenti che il singolo partecipante da solo non avrebbe potuto mettere in campo.

Il quadrato semiotico di Greimas per analizzare l’impatto delle community

Per provare a dare un fondamento teorico più sostenibile a questo processo di scaling, possiamo prendere a prestito uno strumento come il quadrato semiotico teorizzato da Algirdas Julien Greimas che viene oggi largamente utilizzato per studiare l’evoluzione dei significati profondi all’interno di un libro, di un film, più in generale di un testo.

Il quadrato è uno strumento molto duttile (e per questo utilizzato anche per l’analisi delle campagne pubblicitarie): ci mostra come la narrazione, anche emozionalmente, ci porta da una situazione 1 di partenza a una situazione 2 di arrivo, attraverso delle fasi intermedie di negazione ed evoluzione; per poi ritornare, normalmente, alla situazione di partenza pre-rottura (pensiamo al classico finale dei film americani) ovviamente con una nuova consapevolezza e con nuove lesson learnt.

Ecco lo schema neutro del quadrato:

Se dovessimo adattarlo alla community, dal punto di vista dell’impatto, avremmo probabilmente questa configurazione:

Il singolo abbandona il suo modo di essere, il suo punto di vista e le sue attività per adottare progressivamente quelle della community: scambio di valore, condivisione di buone pratiche, adozione di un linguaggio comune. Naturalmente il quadrato si completa con l’uscita (anche momentanea) del singolo partecipante dalla dimensione della community per ritornare in posizione S1 del singolo, ma con una trasformazione: una nuova consapevolezza che, nei casi più riusciti, si traduce in comportamenti e attività nuove.

Le community fanno emergere nuovi aspetti del sé dei partecipanti

In questo senso l’effetto “centrifuga” della community è virtuoso perché incalza lo status del partecipante, la sua predisposizione al “mettersi in gioco”, ad avere un ruolo attivo nel suo ambiente sociale, lavorativo o relativo al leisure.

C’è ovviamente anche un tema di management delle community che lavora per ottenere questi risultati, ma questo tema va al di là dei limiti di questo intervento che si chiude con la considerazione che l’impatto attraverso le community è per noi la possibilità concreta e reale di cambiare status a un determinato ambiente, di far emergere nuovi aspetti del sé dei partecipanti (che magari non pensavano di avere), di favorire nuove conoscenze e nuove pratiche in linea con gli obiettivi del progettista, ma anche e soprattutto di chi quotidianamente le rende vive.

Articolo a cura di Gabriele Buzzi, Senior Manager Community Logotel