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Raddoppiamo la prospettiva dell’esperienza

Per dar forma a esperienze d’acquisto utili e appaganti, abbiamo bisogno di una nuova prospettiva progettuale: che guardi alle relazioni, ai comportamenti e agli impatti che le persone generano all’interno di una comunità.

È innegabile: la customer experience ha un vantaggio competitivo.

La customer experience è entrata nelle maglie delle organizzazioni, tessendo delle trame più o meno fitte (per il coinvolgimento delle persone su più aree aziendali e per la gestione dei molteplici punti di contatto). È un ordito che definisce i principi per rendere sempre più efficaci i processi che portano un cliente a comprare un prodotto: quindi ha un effetto diretto sulla competitività delle aziende. Nello sviluppo di una customer experience, i concetti che oggi guidano la progettazione sono seamless, frictionless experience, multiple touchpoints, optimizing usability, interaction cost reduction ecc. Questi elementi hanno obiettivi precisi: ottimizzare e rendere più accessibile un’esperienza d’acquisto e non solo. Sono premianti perché – quando mancano – l’intera esperienza non funziona: non semplifica, non è utile, non è immediata, non offre riscontri, non crea sinergie tra i canali, non propone percorsi chiari, non guarda ai miei bisogni ecc.

Ma tutto questo basta?

Anni fa ci siamo accorti che non stavamo considerando le persone, allora è arrivato in soccorso lo user centred design, che ha spostato il focus della cultura progettuale: al centro delle nostre attività non c’era più il prodotto o il servizio, ma gli user, che poi sono diventate persone e infine gli human. Questa consapevolezza ha generato un primo importante cambiamento di prospettiva, che ha orientato il nostro lavoro verso la scoperta dei bisogni e il superamento di barriere e limitazioni nella fruizione di un prodotto o un servizio. Questi ultimi, nel frattempo, si sono trasformati in semplici commodity.

L’user experience rende più efficienti i processi, ma dimentica gli elementi di unicità

Oggi però la complessità è aumentata notevolmente. E il disegno dell’experience è diventato talmente tecnico che le nostre azioni progettuali, spesso, si concentrano nel mappare ogni dettaglio, sviluppando chilometri di flussi di user experience che sicuramente centrano l’obiettivo di rendere efficiente un processo, ma trascurano tutti gli elementi distintivi e di unicità. E cioè proprio i motivi che aiutano le persone a scegliere e a comprendere la vera utilità di un prodotto o di un servizio.

Quindi, come recuperare questi elementi, per dare forma a un’esperienza in grado di fare la differenza? Quale metodo o ingrediente aggiungere? Credo che oggi il punto nodale sia altrove: non dobbiamo aggiungere, migliorare, fare cambiamenti incrementali, ma cambiare di nuovo prospettiva o, meglio, adottare una doppia prospettiva, per guardare in modo nuovo tanto ai metodi da adottare, quanto ai risultati che vogliamo ottenere.

La doppia prospettiva: come potenziare l’approccio people?

Come designer, negli ultimi decenni abbiamo lavorato per trovare, analizzare, valorizzare le individualità delle persone, mettendo in luce le loro caratteristiche e i loro tratti distintivi. Oggi, nell’era degli stili di vita remixati, il copione si è capovolto: le persone devono ritrovare una propria individualità all’interno di una o più comunità (la Communal Individuality di cui scrive Trendswatching in un report del 2023). È qui che instaurano le relazioni, si costruiscono le interazioni e sviluppano legami che, a loro volta, mutano e arricchiscono le identità, per consolidarsi in nuovi comportamenti.

Quindi, il soggetto dell’experience cambia: oggi è la comunità con cui si relazionano le persone. E, di conseguenza, è necessario far evolvere i nostri strumenti di analisi, progettazione, realizzazione e “messa a terra”. Questa evoluzione non può fermarsi a una riorganizzazione sistemica, utile a mappare la complessità degli attori coinvolti, ma esige una nuova logica dei processi, che sappia guardare ai significati che le persone attribuiscono alla dimensione di comunità. Perché deve generare valore non solo per gli individui, ma per tutto ciò che la comunità include e coinvolge e cioè: brand, organizzazioni, ecosistemi, territori…

Quali leve progettuali?

1. Generare e sostenere nuovi comportamenti delle persone e all’interno delle comunità con cui interagiscono, si relazionano per generare impatti positivi.

Non dobbiamo intervenire solo sui flussi e sulle customer journey, ma domandarci: quale cambiamento vogliamo ottenere sui comportamenti? Perché la somma dei comportamenti genera un impatto positivo e quindi un effetto sulla comunità. Non è più solo un lavoro di mappatura, quindi, ma di immaginazione: se pensiamo a quali comportamenti collettivi vogliamo innescare, riusciremo a vedere meglio gli effetti sistemici da progettare e quindi quali impatti reali generare.

2. Orchestrare continue interazioni.

Questo dispositivo ci porta a intervenire su due elementi:

a. Lo sviluppo delle interazioni che alimentino partecipazione;

b. Non fermarsi a “mettere in onda” l’esperienza, ma darle continuità nella vita quotidiana: per interpretare i comportamenti che abbiamo attivato; per cogliere stimoli di miglioramento continuo (continuous improvement) e per acquisire coraggio per cambiare le nostre idee iniziali.

3. Misurare gli impatti e dare forma a nuove metriche.

Quando passiamo da un approccio individualista (user centred) a uno fondato su dinamiche collettive (People & Community centred) dobbiamo assicurarci che quanto abbiamo realizzato stia funzionando e che stia generando impatto. E quindi abbiamo bisogno di metriche che si integrino ai KPI mainstream (come il Net Promoter Score) e che misurino “la materia viva della comunità” e cioè – appunto – i comportamenti, le interazioni, il coinvolgimento e il valore scambiato.

Il valore aggiunto di un’organizzazione People & Community centred

In sintesi, qual è il valore aggiunto per un’organizzazione che progetti in ottica People & Community centred?

  1. Cambiano i numeri, cambia la scala: più interazioni, più feedback, più confronto sui bisogni, più contatti, più dati da condividere ecc.
  2. Si anticipano i tempi: delle decisioni, dei test, dei problemi da risolvere, dei gap da colmare, dei nuovi trend da recepire, dei risultati da generare.
  3. Il sistema diventa dinamico: sviluppa interazioni e legami, che nutrono la motivazione intrinseca nelle persone e, a loro volta, accelerano la creazione di contenuti, idee e nuovi scambi.
  4. Infine, si misura ciò che conta davvero: i comportamenti, l’impatto, il valore generato e condiviso per le persone, l’organizzazione ed ecosistemi più ampi.

Articolo a cura di Antonella Castelli, Senior Manager Design Logotel